A voler trovare un corrispettivo nella forma di genere letterario, che possa anche lontanamente richiamare quanto realizzato nel corso dell'ultimo lustro dall'elusivo producer londinese Zomby, la scelta più logica ricadrebbe sull'epigramma. No, non vi è satira nella sua musica, come invece ne compariva a profusione nei distici di Marziale, l'obiettivo però a cui entrambi puntano grossomodo è lo stesso: raccontarsi e raccontare nel minor spazio possibile, ma con straordinaria cura per il dettaglio e abbondanza di accorgimenti, con una sottigliezza e una creatività che pare inesauribile.
E nella messe di uscite seguita alla sua prima comparsa discografica cinque anni or sono, questa è forse l'unica costante, il solo elemento che costituisca un filo conduttore utile a legare così tante pubblicazioni sotto un'egida creativa unitaria. Superata la sbornia nineties nel tributo all'epopea rave di “Where Were U In '92?”, oltrepassata anche la barriera del dubstep e delle sue infinite declinazioni nella personalissima, angosciante rilettura a nome “Dedication” (che segnò il passaggio ai blasoni della 4AD), la sua poetica del brandello aveva ampiamente dimostrato tutta la flessibilità e lo spirito d'adattamento di cui era dotata, in un gioco alla destabilizzazione che spazzava via, senza pietà, certezze e riferimenti. Paradossale, eppure necessario, “With Love” arriva e imprime sulla maschera del misterioso inglesino l'aggettivo “definitivo”, ponendolo di diritto (non che ce ne fosse bisogno, giunti a questo punto) nel gotha dell'elettronica mondiale.
Perché dopotutto, molti sono i termini che potrebbero balzare in testa per tentare di descrivere (in modo alquanto grossolano e sbrigativo, va detto) quanto si agita in questi ottanta minuti di musica, ma “paradossale” e “necessario”, pur nella loro contrapposizione quasi ossimorica, svelano molto del lavoro. Per un producer la cui brevità delle realizzazioni è a dir poco proverbiale, un secondo marchio di fabbrica finora rispettato con diligenza da primo della classe, un doppio album che sconfessa un assioma apparentemente incrollabile ha il sapore del sacrilegio, dell'empietà senza perdono. Un autentico paradosso, alla fin fine, con tutte le contraddizioni (illusorie o meno che siano) che ciò comporta.
Ecco che qui scatta però la necessità dell'operazione: passando oltre lo scalpore iniziale per la durata tutt'altro che asciutta di questa nuova fatica, ci si rende presto conto (tempo di due ascolti, ma forse basta pure uno) che la presumibile pesantezza di ben trentatré tracce viene scongiurata da una continua variazione nei moduli melodici, da un senso di generale smarrimento emotivo che tiene alla larga con disinvoltura il pericolo della ripetizione.
Zomby non rinnega minimamente il suo metodo di lavoro: sono sempre i suoi frammentati incubi metropolitani, i minutaggi ridotti all'osso (di rado le tracce superano i tre minuti), gli spiazzanti cambi d'umore e tono a essere i dialoganti centrali nella saga postmoderna del londinese.
Quel che sorprende della raccolta, è l'ampiezza stilistica raggiunta, la molteplicità di riferimenti che adesso abbraccia quasi nella sua totalità lo scibile elettronico degli ultimi venti-venticinque anni, per poi scomporlo, parcellizzarlo e ricombinarlo in un'opera che sa di riassunto, di confronto personale con i trascorsi dell'elettronica passata e presente: un testa a testa da cui il Nostro esce tutt'altro che sconfitto.
Non lascia il tempo di ipotizzare percorsi, traiettorie o sviluppi, che il dispiegarsi dei brani assume pieghe inaspettate, spezzandosi e ricomponendosi a suo piacimento, in un disegno generale dall'architettura formidabile. Potrà sembrare pericolante, ma l'edificio è solido, saldissime le fondamenta su cui poggia e altrettanto saldo il progetto che ne sta alla base: l'alchimia è senz'altro complessa e sfuggente, ma ben presto si intravedono gli altarini, gli omaggi e le tendenze che in questo mosaico vanno per la maggiore, mosaico in cui ogni tassello ha la sua precisa funzione e importanza.
E proprio per questo, ridursi a una cernita delle tracce più significative qui lascia davvero il tempo che trova. A volerla quindi buttare sul generale, rimandi alla drum'n'bass che fu, ora declinata nelle sue variazioni atmosferiche ora avvinta dalla frenesia della jungle più convulsa e club oriented, si prendono ampio spazio nel primo disco, tra ossessivi pattern future-garage, trap beats a volontà e uno scheletrico melodiare chiptune, oramai patrimonio acquisito della sua estetica. Altrove, pattern IDM imprimono una sterzata più astratta e nebulosa, sempre tenendo fede al sincretismo famelico di partenza, ma veicolandolo tra le maglie di un'ambience fosca, opprimente, inesorabile nella sua carica ansiogena.
Ed è proprio nella maggiore componente di novità di questo frastagliatissimo affresco postmoderno, che l'inquietudine, una sensazione di strisciante claustrofobia, prende il sopravvento. Sparuti, curiosi riferimenti all'universo black affiorarono già in “Dedication”, ma è qui che trovano piena libertà di espressione, uno sviluppo completo che permetta loro di passare dal trattamento Zomby. Oltre ai già menzionati richiami trap che stanno spopolando per ogni dove (ma che qui vengono usati con una cura e un'intelligenza che nulla ha a che spartire con la cafoneria di tanti suoi colleghi), schegge impazzite di funk deviato, arguti riquadri di hip-hop strumentale e slabbrato, (sovente però accompagnato da dissolvenze vocali in perfetta chiave post-Burial), toccate e fughe house si abbandonano con gusto e cognizione di causa al gioco della contaminazione. Il ghiribizzo inaspettato trasforma così la più prevedibile delle armonie nell'ennesimo colpo da maestro, nell'ennesimo cambio di scena per un maestro del trasformismo dalla ferrea etica creativa.
Insomma, mica facile, alla resa dei conti, scendere a patti con un album del genere, con l'opulenza luculliana che mette a tavola per i suoi convitati. Conferma e superamento, “With Love” è comunque la cristallizzazione di uno stile, la radicalizzazione alle estreme conseguenze di un approccio alla musica davvero unico nel suo genere. E ascolto dopo ascolto, si fa forte la sensazione che questa, per ambizione e resa complessiva, sarà la chiave di volta dell'intera produzione zombyana, l'opera per cui sarà giustamente e meritatamente ricordato. Non resta quindi che lasciarsi trasportare, farsi trascinare da questo lungo stream of consciousness: ci si potrebbe ritrovare a fare di quel titolo realtà.
01/06/2013