Il serpente e la sfera. Come a dire, la circolarità, la perfezione, ma anche l’armonia e la materia nuda e cruda della terra, quella da cui solo ci si può innalzare verso le sfere celesti. Simbologie non casuali per il quinto lavoro della compagine statunitense, in questi solchi decisamente proiettata verso il suo passato, alle radici di una spiritualità chiaroscurale.
Più dilatato e introspettivo del suo predecessore, “The Serpent & the Sphere” vanta anche una produzione più riuscita, capace di far risaltare egregiamente ogni singolo suono. Quasi a chiudere un cerchio, insomma, John Haughm e soci scelgono di non agitare troppo le acque in casa loro, donando ai fan quello che, in fin dei conti, si aspettano: un disco ben fatto, costituito da brani finemente cesellati che, ahimè, sembra però di aver ascoltato tante e tante volte.
E’, in ogni caso, il dosaggio dei vari ingredienti che li contraddistingue, loro che, mentre si aggrappano agli spazi acustici (“Cor Serpentis (The Sphere)”, “(Serpens Caput)”, “(Serpens Cauda)”) per lasciar defaticare la nostra concentrazione, altrove continuano a intrecciare lo spirito pagano con la cruda tenacia di un black-metal comunque declinato in maniera più “morbida” e visionaria (si ascoltino, per dire, le trame atmosferiche di “The Astral Dialogue”), incrociando magniloquenza ed epos introspettivo in “Birth And Death Of The Pillars Of Creation” e “Dark Matter Gods”, in un gioco di contrasti che struttura tracciati emozionali lungo traiettorie sempre più post-.
Sullo sfondo, ancora paesaggi innevati o comunque bloccati in uno spazio-tempo pregno di malinconia, la stessa che attanaglia, come in una morsa, “Plateau Of The Ages”, il brano più lungo del lotto con i suoi oltre dodici minuti di durata. Un sentimento di gelido abbandono, schiacciato tra progressioni trionfalistiche e lande di tenebroso stupore. Per l’inverno che è da poco andato via, pur restando sempre con noi…
30/05/2014