Antlers

Familiars

2014 (Transgressive/ Anti)
art-pop
8.5

Ne ha fatta di strada Peter Silberman, dalle rivisitazioni folk intimiste registrate in cameretta nel nemmeno troppo lontano 2006, alla pubblicazione di “Familiars”, quinto full-length a nome The Antlers, nonché terzo da quando dietro al moniker si celano non più il solo Silberman, ma anche i sodali Darby Cicci e Michael Lerner. Mentre “Hospice” nel 2009 venne accolto come un sorprendevole gioiello, non possiamo nascondere che su “Familiars” pesassero alla vigilia quei dubbi e quelle aspettative solitamente riservate ai nomi di spicco. Colpa o merito dei suoi predecessori, perché “Hospice” sapeva toccare certe corde emotive come pochi altri dischi contemporanei (alla pari forse solo con “For Emma, Forever Ago”), mentre “Burst Apart” dava seguito a una storia di ricerca sonora da parte del gruppo, rimodellando i canoni post-rock/pop moderni. Il pregio di “Familiars” e degli Antlers è, lo diciamo fin da subito, quello di aver saputo fondere gli aspetti peculiari degli ultimi due lavori, dando alle stampe un Lp certamente sofisticato, ma capace di colpirti al cuore sin dalle prime battute.  
 
Da sempre, l’aspetto musicale per il gruppo di Brooklyn è qualcosa che va oltre la semplice melodia, anche volendo ragionare in termini squisitamente pop. D’altronde Silberman non ha mai nascosto la propria concezione di “musica come colonna sonora per raccontare una storia”, visione portata all’apice in “Hospice” e poi mitigata dalla ridistribuzione delle posizioni di potere avvenuta nel disco successivo. “Familiars” da questo punto di vista è il loro disco perfetto: niente al proprio interno è catalogabile come canzone o meglio niente è semplicemente canzone. Uno dei punti centrali dell'analisi di questo Lp è infatti l’elevato grado di immedesimazione provato durante l’ascolto, lo stesso che accade leggendo un libro particolarmente coinvolgente, quando si vive dentro le pagine dell’opera stessa.
“If you're quiet you can hear the monster breathing … Do you hear that gentle tapping? My ugly creature's freezing”, canta Silberman in “Doppelgänger”, seconda traccia del lotto. E sembra davvero di sentirlo quel suo Mr. Hyde picchiettare dietro i vetri dello specchio, mentre la tromba di Darby Cicci disegna, lungo tutta la suggestiva coda strumentale del brano, paesaggi da cinema d’antan. Discorso valido anche per il secondo singolo utilizzato per il lancio del disco, “Hotel”, dove non sono unicamente le parole a farci percepire quella sensazione di solitudine e voglia di fuga provate nella stanza d’albergo di turno. Sono infatti l’organo in stile Motown e quei pochi arpeggi di chitarra a scandire il trascorrere del tempo all’interno di quella stessa stanza, mentre radi passaggi di tromba squarciano l’atmosfera con crudeltà quasi feroce.
 
L’utilizzo massiccio della tromba da parte di Cicci, riportata in auge da Destroyer nel 2011 e già sperimentata con successo nell’Ep “Undersea”, rende “Familiars” un album molto più caldo e avvolgente rispetto a quelli che lo hanno preceduto. Nella volontà di Silberman, questo è il disco del “sollievo ritrovato”: ispirato dalla lettura del “Libro tibetano dei morti”, i protagonisti dei brani (e per estensione lo stesso cantante) compiono una sorta di percorso interiore, fronteggiando il proprio passato e guadagnando quella pace finora mancante. Un barlume di positività ritrovata, considerano il tracollo emotivo con cui si era costretti a  rapportarsi in “Hospice” - con Silberman che figurava la propria ragazza (ora ex) come malata terminale e lui presente al capezzale  - e in “Burst Apart”, dove l’autore si metteva a nudo scavando nei meandri della propria disperazione.
Tenendo a mente questo, non stupisce la scelta di aprire il disco con “Palace”, brano di accecante bellezza, che descrive perfettamente ciò detto qualche riga sopra. In breve: lui-lei hanno una connessione sin da piccoli, ma un altro si mette in mezzo e seppellisce il loro amore ("He left the tallest peak of your paradise/ Buried in the bottom of a canyon in hell"), ma dentro al loro palazzo - non necessariamente un posto vero e proprio, ma può essere anche un luogo figurato all’interno dei loro cuori - il loro legame è immutato e non ha bisogno di ostentazioni per essere considerato reale. Una figura, quella della casa, che viene ripresa anche nella - non per caso - conclusiva “Refuge”, come luogo di riparo e di appartenenza (“Man, you're already home and you don't even know it/ You have a room you can return to, and you'll never outgrow it/ See, you're already home when you don't know where to find it”). Sezione ritmica minimale, delicate pennellate di chitarra e affondi di tromba donano la stessa atmosfera anche a “Intruders”, dove Silberman sfodera anche il falsetto per narrare la propria inarrestabile volontà di maturità e crescita, nonostante gli ostacoli creati dal proprio io del passato. 
 
Ci sentiamo in dovere di soffermarci sui testi perché parte imprescindibile nella valutazione complessiva di “Familiars”; capire il disegno che sta loro dietro permette a sua volta di guardare alle musiche da una prospettiva totalmente differente, cogliere i dettagli e apprezzare ancor di più le sfumature. Se il macrotema del disco è individuabile nel cambiamento, ci sono almeno altri due microtemi, correlati fra loro, che emergono: le doppie-personalità e la ricerca della redenzione. Di “Doppelgänger” vi abbiamo già detto, ma anche “Director” viaggia sugli stessi binari, unendo le tematiche in un unica, potentissima, strofa: “You say 'lend me your eyes to evolve, From that actor I fight in the dark Where I'm two twins I can't tell apart!'/ But you remember which is which, when the wrong man wins?/ You will hate who you are ’til you overthrow who you've been”. 
In questo contesto, è monumentale la costruzione orchestrale dei singoli brani, capaci di prendere per mano l’ascoltatore e condurlo lungo tutte le nove tracce come la migliore delle soundtrack. Estremamente dilatati, di una pulizia al limite della perfezione, poggiano tutti sulla puntuale essenzialità di Michael Lerner e sui paesaggi sfumati dipinti dai synth manovrati da Cicci, mentre la tromba è la variante vincente, il bisturi che opera in questa operazione a cuore aperto che è “Familiars”. Un abbraccio che rincuora anche quando l’album pian piano scivola verso il suo lato più ombroso, quel binomio finale formato da “Surrender” e “Refuge” dove la deriva pessimistica (ri)prende il sopravvento nei pensieri di Silberman. 
L’unico appunto che si può fare a “Familiars” è la sua forse eccessiva omogeneità: una volta messo a fuoco il mood, è davvero difficile uscirne. Questo aspetto è comunque reso davvero marginale dall’eleganza e il genuino fascino di tutti i brani, in quanto è impossibile definirne anche uno solo come incerto o non riuscito. 
 
Il 2014 è l’anno in cui sono i dischi dal forte impatto emozionale a dettare legge: prima la prosa realistica e diretta di Kozelek con “Benji”, ora Silberman e le sue complesse figure retoriche. Un viaggio più articolato per una meta comune: smuovere qualcosa di profondo nella mente e nel cuore di chi ascolta.

01/06/2014

Tracklist

  1. Palace 
  2. Doppelgänger 
  3. Hotel 
  4. Intruders 
  5. Director 
  6. Revisited 
  7. Parade 
  8. Surrender 
  9. Refuge


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