Cosa c’è di più rilassante che svegliarsi una domenica mattina inondata dal sole e farsi una bella e lenta girata in bicicletta sui sentieri in mezzo ai prati, col cuore che batte lentamente dettando il ritmo del sentimento? Ecco, immaginate questa situazione e avrete un’idea generale di “Morning Phase”, l’ultimo lavoro di Beck.
Esplicita parte II di “Sea Change”, con atmosfere rilassate e mattutine, in pace e in armonia con la natura, seguendo ritmi interiori, questo album allinea 47 minuti di brani interamente acustici e lenti, con rarissimi inserti elettrici. Un folk con arrangiamenti che spesso portano archi a supporto, fatti di atmosfere rarefatte e intime, racchiuse in poche pennellate sonore. Pare quasi di sentire gli insetti che ronzano nella quiete antimeridiana, fin dall’iniziale accoppiata “Cycle/Morning”, con la prima che in realtà è solo una intro di archi alla seconda, e ci sussurrano nelle orecchie i tredici brani dell’album, che scorrono uno dopo l’altro, come un ruscello primaverile. La successiva “Heart Is A Drum”, invita a uscire nel sole, stirandosi pigramente, seguita dal canto sofferto e dal banjo di “Say Goodbye”, che forse della serie, soprattutto vocalmente, è quello che più si avvicina alla tipicità di questo artista. A ruota arriva la languida “Blue Moon” - uno dei teaser già usciti in streaming da qualche tempo - che invita a scuotersi dalla malinconia.
I primi quattro brani sicuramente rendono giustizia al miglior Beck di genere, senza tanti fronzoli o complicazioni, ma tutto il disco è fatto di canzoni semplici, come incredibilmente semplice sembra essere per lui sfornare canzoni. In effetti in pochi nella storia del rock possono dirsi dotati di una capacità di scrittura tanto istintiva da produrre canzoni così naturalmente, esprimendosi con la musica come si fa con la parola o con il linguaggio istintivo del corpo.
Dicevamo che troviamo tredici canzoni che si susseguono, ma non sempre mantengono desta l’attenzione, soprattutto ai primi ascolti. “Morning Phase” in vari passaggi è un album da meditazione, per far viaggiare la mente. Questo accade soprattutto nella parte centrale. Tra gli acuti da evidenziare ci sono sicuramente “Don’t Let It Go” e “Blackbird Chain”, prima della conclusiva, coinvolgente e quasi commovente, “Waking Light” con la quale si torna al tema del risveglio a chiudere il ciclo.
Quanto l’appartenenza a Scientology o i recenti malanni fisici abbiano influito sull’album resta un tema sospeso, quel che è certo è che addirittura a tratti capita di ricordare i Pink Floyd acustici della fase immediatamente post-Barrett, ma anche Neil Young, esplicitamente citato in un’intervista come una delle influenze di questo lavoro, come pure le atmosfere del blues del Delta. Personalmente, d’istinto quest’album lo preferisco a “Sea Change”, in quanto tenuto ancora più asciutto con gli arrangiamenti e quindi più aderente all’essenza del folk beckiano. Aggiungiamo che è anche la prima parte di un progetto dell’artista che prevede una seconda uscita più “eclettica” nei prossimi mesi, secondo le sue parole “vibrante di energia live”, e comunque non solo acustica.
Ora, se questo sia un album memorabile lo dirà il tempo, si può dire che certamente sia un ascolto piacevole, adatto anche a chi non è fan sfegatato di Beck ma ama il folk acustico e rifugge la confusione. Una certa discontinuità tra i brani, si è detto, è uno dei difetti riscontrabili, la semplicità uno dei pregi più evidenti. Godetevelo.
26/02/2014