A chi avesse recentemente scoperto e apprezzato il lavoro cantautorale di John Grant consigliamo vivamente un recupero di ascolti relativo alla sua band d’origine, quegli Czars la cui scarsa visibilità all’epoca è compensata oggi dalla splendida, meritoria antologia che la Bella Union ha appena immesso sul mercato. Provenienti da Denver, Colorado, attivi nella prima metà degli anni Zero, i Czars sono rimasti purtroppo a lungo un tesoro nascosto, un gioiello luminoso ma sommerso, a far la gioia di pochi fan dal palato fine. Cifra stilistica del quintetto un’idea ampia, inclusiva di canzone d’autore melodica, capace di abbracciare al suo interno il folk, il pop barocco ma all’occorrenza anche l’alternative country, la malinconia struggente del Tim Buckley di “Blue Afternoon” così come le spire avvolgenti dei Cocteau Twins, l’intimismo polveroso dei Grant Lee Buffalo ma anche certe colonne sonore firmate John Barry o Burt Bacharach.
Riferimenti senza dubbio sofisticati, forse poco glamour e commerciali intorno ai primi anni Duemila: elementi che, uniti a strategie promozionali sicuramente poco efficaci, decretarono l’effettivo “declassamento” a cult heroes degli incolpevoli Czars.
Influenze, quelle sopra elencate, tutte elegantemente assimilate, distillate in un sound davvero originale e distintivo, orecchiabile, immediatamente riconoscibile, A dominarlo la voce baritonale di John Grant, così profonda, dolente, inquieta come l’abbiamo conosciuta ascoltando i suoi ultimi lavori da solista: tra le sue dita i tasti bianchi e neri del pianoforte; alle sue spalle chitarre acustiche arpeggiate ed elettriche poco effettate, tastiere e una sezione ritmica leggera. Diciotto brani che scorrono fluidi in un unico, ideale flusso di coscienza che racconta e sintetizza quattro album di studio: “Before... But Longer” (i primi quattro brani), “The Ugly People Vs The Beautiful People” (i successivi sei), “Goodbye” (gli altri cinque), infine l’album di cover “Sorry, I Made You Cry” (gli ultimi tre).
Tempi medi e soprattutto languide ballate, prodotte e arrangiate in maniera sontuosa, in grado di commuovere, di colpire al cuore senza tuttavia risultare stucchevoli. Pagine rare di canzone d’autore, una lezione di stile condivisa negli stessi anni da artisti come Richard Hawley, Devics e Midlake, band quest’ultima più volte associata proprio a John Grant.
Difficile operare una scelta, una selezione arbitraria degli episodi più rappresentativi, tanto l’ascolto di questo “Best Of” risulta coeso, quasi un unicum, raccolta di racconti confessionali da non separare l’uno dall’altro. Pezzi come l’iniziale “Val”, come “Paint The Moon” oppure “Get Used To It” o “Roger’s Song” vibrano della sensibilità rara del performer Grant, del suo istinto nel creare atmosfere pregne di pathos. A ben vedere, un album ideale per questo periodo dell’anno, da godere poco alla volta, non fosse altro per il rischio di immersione prolungata nello spleen di cui si nutre.
10/12/2014