Il disco si apre con la voce filtrata e tirata come una corda di violino di Rocco Deluca (“Rocco”), quasi un’elegia bucolica prima dell’irruenta ondata di elettricità satura e devastante di “The End”, dove ad aiutare Daniel c’è l’amico di sempre Brian Blade alla batteria. Su “Sioux Lookout”, un canto di compassione per tutti gli animali viventi, Lanois costruisce un tappeto sonoro irrobustito da uno strisciante groove preso in prestito dalla sua libreria di black dub.
L’arte di nascondere i timbri degli strumenti e trasformarli in qualcosa di altro continua sulla mesmerica “Two Bushas”, una sorta di sinfonia che prende vita da scampoli di melodie accecanti. Altrettanto commovente l’omaggio alle terre del profondo Nord di “Iceland”. “Opera” segna un altro capolavoro dell’album: Lanois disegna una filigrana drum’n’bass e la immerge in un coro angelico prima di dargli fuoco in un crescendo che toglie il respiro.
(29/12/2014)