Considerati, almeno dopo “Shallow Bed”, un’alternativa più tamarra e meno commerciale ai Mumford And Sons, i Dry The River sono riusciti in questi anni a costruirsi una reputazione di band meno attenta all’immagine e dalle velleità decisamente più “elevate” dei cugini londinesi.
“Alarms In The Heart” rappresenta addirittura il tentativo di smarcarsi dalle nuove boy band in camicia a scacchi della Gran Bretagna per approdare a un sound più stratificato e a costruzioni più pretenziose, con l’aiuto di una pletora di produttori che hanno figliato i più grandi successi midstream inglesi degli ultimi anni in un caso (Charlie Hugall per Florence And The Machine, Ed Sheeran) e collaborato con mostri sacri della sponda scozzese nell’altro (Paul Savage per Mogwai e Franz Ferdinand). A questi si aggiungono Peter Miles di nuovo alla produzione e il guru islandese Valgeir Sigurðsson per gli arrangiamenti d’archi, inevitabile orpello al salto artistico della band.
Il risultato, "Alarms In The Heart", è un’accozzaglia di canzoni ipertrofiche e dalla scrittura confusa (tra lamenti e vociare non ci scappa neanche una melodia), una sorta di alter ego musicale di un blockbuster di Michael Bay: conta più il susseguirsi frenetico di effetti speciali della trama e dei personaggi.
Cliché dell’indie-rock di dieci anni fa (i Killers di “Hidden Hand” e “Rollerskate”), fiacchi mash-up folk-rock (“Med School”), lenti che sembrano prog tanto la melodia è da emicrania (“It Was Love That Laid Us Low”), con spezzoni in minore orchestrati solo per promettere progressioni vagamente “post”.
L’unico abbozzo di canzone è da ricercare in “Gethsemane”, più limpido esempio di folk-pop da stadio, con varie concessioni armoniche che, per una volta, paiono suggerire lo sviluppo emotivo del pezzo (la profondità rimane quella dei Mumford, comunque), e non peregrinazioni casuali per il pentagramma.
Il risultato finale è ulteriormente affossato dal contrasto tra questa impalcatura tronfia, appesantita da una certa muffosità di fondo, e l’esecuzione e il tono ostentatamente giovanile. Difficile fare di peggio.
04/09/2014