La carriera di George Ezra, nativo della campagnola Hertford, dintorni di Bristol, ha avuto una velocità che la rende virtualmente inesistente. Ancora quasi ragazzino, dopo essersi diplomato in un istituto di “modern music” di Bristol, impressiona tutti con la sua scioltezza alla chitarra e soprattutto la voce possente. L’ascesa è fulminea: live, partecipazioni, passaggi in radio e social network delle sue prime canzoni.
Tratta dal suo primo Ep “Did You Hear The Rain?” (2013) è la sua maggiore hit, la “Budapest” ululata e gorgheggiata che ha avuto l’indubbio merito di riportare la canzone d’autore semi-acustica alle vette della classifica di vendita nell’era di Pitbull, David Guetta e Skrillex. Questo nuovo enfant prodige rimane, comunque, anni luce da obblighi contrattuali di sorta. Ezra dimostra, alla prova dell’album lungo “Wanted On Voyage”, di avere una sporta d’idee efficaci e pure affascinanti, e una coerenza di ferro nell’imporle.
La produzione elettronica aiuta a modellare una prima parata di brani impeccabili, dalle vibranti danze campestri con battimani gospel di “Cassy O’” e “Blame It On Me” ai bubblegum country-pop dell’ormai arcinota “Budapest”, i cocktail-lounge di “Barcelona” (echi della “Wild Side” di Lou Reed) e i corali di “Leaving It Up To You”, passando per la dinamica stornellata folk di “Listen To The Man”. Sono tutti gioielli dal refrain da brivido, migliorato dal suo innato baritono caldo, profondo, ma anche elastico, in grado di passare dalla pompa Bruce Springsteen-iana al tono confidenziale e rurale del Bob Dylan di “Desire” al falsetto soul effemminato.
La seconda parte è già più imperfetta, solo “Drawing Board” e la serenata solitaria accompagnata da miasmi elettronici di “Breakaway” sono nel segno delle prime canzoni. L’autore cerca comunque qualche vago esperimento canoro nell’introduzione a cappella di “Did You Hear The Rain?”, un blues delle piantagioni cantato nel vuoto, e soprattutto nel registro bassissimo e fatalista di “Spectacular Rival”, dei Crash Test Dummies impiantati in un clima western-noir da Morricone, che chiude l’album in una non banale nota grave.
Primo album del giovanissimo cantautore (classe '93) - disco di platino nel 2014 per “Budapest” -, un radicale campionamento di stili del passato rielaborati con disinvolta confidenza, indiscutibile classe, scrittura facile. Diverse canzoni memorabili, immediatamente cantabili, tutte radunate nella prima parte capolavoro. La stampa specializzata dice che non rivela alcunché della sua giovane età: soprattutto non ci sono tracce della sua "inglesità". Ci sono pulsanti fiotti d’America, la sua America, ma ha pure uno sguardo sottilmente cosmopolita. L’edizione deluxe aggiunge quattro (minori) canzoni. Ottimo successo in Italia.
01/07/2014