Si era già preventivato un immediato futuro in cui parlare degli Uochi Toki sarebbe diventata un'operazione vacua, col progressivo ridursi dell'analisi critica a una disordinata accozzaglia di citazioni dal loro repertorio. D'altro canto la produzione del duo, giunta a una cadenza annuale, riveste ormai un'importanza tale da non poter essere in alcun caso soprasseduta – un sovvertimento che nemmeno l'hip-hop mutante dei Dälek, per quanto evoluto, ha portato a un simile compimento.
La loro prima collaborazione internazionale li ha visti affiancare nientemeno che i canadesi Nadja, la prolifica creatura drone di Aidan Baker e della consorte Leah Buckareff, coi quali c'erano già stati alcuni incontri in sede live. Benché sia inevitabile considerarlo un prodotto eminentemente nostrano, la presenza di questi ultimi è determinante nella definizione del soundscape di “Cystema Solari”, con ogni probabilità il concept più singolare e indecifrabile che vi capiterà di ascoltare di questi tempi.
Ed è forse l'occasione che Napo, metà vocale degli Uochi, attendeva da diverso tempo: abbandonare la comune idea-parola e gettarsi a capofitto nell'iper-significanza di una babele linguistica costruita a tavolino; non è più la grammatica a dettare legge ma la fonetica, l'ermetismo fatto materia di un imprendibile crossover fra italiano, latino, inglese, francese e spagnolo. Di modo che il nostro non ci parla più di una realtà conosciuta e tangibile, pur sempre quotidiana benché dissezionata e dissertata in formule complesse.
La sua voce, filtrata nel ronzio di un segnale radio, giunge a noi come da una coscienza superiore ma ancora fermamente umana: un “homo-sapiens-sapiens-sapiens” in grado di comprendere l'essenza del legame tra i pianeti e la loro stella di riferimento. Così viene narrato il viaggio della prima astronave in missione verso il Sole, che dà vita ma che anche tiene sotto scacco la nostra stessa esistenza: questo il monito costante dei corposi feedback cosmici di Nadja, il cui bruciore inevitabilmente sovrasta le dissertazioni neo-copernicane di Napo.
L'ingresso è in medias res, e non potrebbe essere altrimenti: l'idea e la fisicità del disco si collocano entro una “cosa” già iniziata, un sistema planetario nel pieno del suo ciclo vitale. I singoli testi dedicati ai pianeti e le immancabili illustrazioni dell'alter ego Lapis Niger sono una guida utile – ma non strettamente necessaria – per avventurarsi in questo criptico trattato astronomico postmoderno:
Neme potest achieve, neme potest viewer, mais c'est from esto qui tu leave semper, this ignotico field de l'espace qui surroundate de pria et flowstreamerà todé, attraversando il tuo “n'est pas?”.
Un doppio strato di chitarra e basso distorti inonda l'atmosfera, mentre l'intero impianto di percussioni elettroniche è affidato a Rico, che con pulsazioni glitch frammenta lo spazio acustico, in un contrasto che diviene complementare alla continuità dei bordoni di Nadja. Le due componenti si fondono in tutta la loro possenza nel finale, che da un solenne funeral-doom raggiunge un sunto massimalista tra cortocircuito digitale e drone-metal astrale: un loop che tutto inghiotte, potenzialmente infinito e che ormai in ogni senso rimanda alle implosioni dei Sunn O))). Nel marasma l'ultimo afflato in liquefazione: “Nous sommes trop close, noncuranti della fine, del calore, di poterci sciogliere”.
Registrato live in studio nel luglio del 2013, “Cystema Solari” è un'opera dalla densità impressionante, frutto di una volontà paragonabile a quella di un pittore che, avendo in mente una figura complessa e inafferrabile, comincia a lavorare per istinto e libere associazioni, rielaborando le proprie conoscenze ma abbandonandosi per quanto possibile alle sue doti percettive; ciò, tuttavia, nella consapevolezza di non poter rappresentare quella figura se non in maniera parziale e strettamente soggettiva.
Immaginare un connubio improbabile che in seguito si rivela del tutto azzeccato, arricchendone entrambe le parti in gioco: questa è visione artistica, questa è – paradossalmente – la risposta più sensata al farneticare di tanta musica italiana che non ha davvero più nulla (ma nulla!) da dirci. Bisogna liberarsi una volta per tutte di quello sguardo così limitato e iniziare a indagare nuovi idiomi, noncuranti del fine. Può trattarsi soltanto di esperimenti, ma i risultati si vedono, eccome.
23/06/2014