Non è di certo la prima volta che aspirazioni e risultati finiscono con lo sconfessarsi a vicenda, e tanti sono i casi, anche e soprattutto in tempi recenti, che dimostrano la validità dell'assunto, ma per un'artista solida e coerente come la Danilova un inciampo del genere è tutt'altro che usuale, viepiù che quando ha voluto spingere per una maggiore accessibilità il processo di epurazione dall'elemento goth-noise ha permesso di evidenziare ascendenze pop di tutto rispetto. E “Dangerous Days” (pensata comunque per il precedente disco), singolo di lancio di questa quarta fatica, sembrava mettere in chiaro che la linea tratteggiata da “Vessel” e “Seekir”, battito electro-pop minimale e brillante senso della melodia, non sarebbe stata soltanto una parentesi estemporanea da riporre nel cassetto a progetto concluso. Pure “Dust”, con la sua ambizione di rimodellare le sinuosità dell'r&b alla luce delle sfumature teatrali del proprio timbro, tutto sommato si staglia come brano che in una scaletta ipoteticamente diversa avrebbe saputo indubbiamente il fatto suo.
I problemi sorgono nell'approcciarsi ai rimanenti pezzi della collezione, nei quali a prevalere è sovraccarico, un affastellamento senza grande progettualità di idee accomunate da un senso di tronfia grandeur che affossa del tutto quel poco che nella scrittura riesce a risaltare. Piuttosto che sulle melodie, alla fine l'elemento principe in un disco che vorrebbe definirsi pop, l'attenzione si sposta su tutto il resto, dalla produzione, rifinita di tutto punto, agli arrangiamenti, forti addirittura di un'intera sezione orchestrale (che a tratti potrebbe addirittura azzardare di guardare in alto verso i vertiginosi madrigali di Sam Rosenthal) nonché di una diffusa ambience ottenuta attraverso l'utilizzo di sparsi effetti vocali. Tanta ricchezza sonora, un dispiego importante di soluzioni e accorgimenti che se da un lato trova spesso l'adatta via espressiva (la marcia digitale di “Lawless”, la techno da camera di “Hunger”), dall'altro non trova sostegno in una forma canzone troppo sfilacciata, spesso davvero ridotta ad un'impronta, all'idea di quello che potrebbe/dovrebbe essere.
E a poco serve smussare ulteriormente gli angoli di una vocalità che del gotico tenebroso degli esordi conserva ben poco, così come il dichiarare di aver studiato attentamente il timbro di Rihanna: la realtà è che di popular a questo giro ve n'è soltanto qualche traccia, che il castello anche con tutte le buone intenzioni del caso non riesce proprio a reggersi in piedi. Paradossalmente, nella sua rottura così eversiva da “Stridulum” il sottovalutato “Conatus” colpiva nel segno con una precisione e un'accuratezza che “Taiga” al più può soltanto immaginarsi: ripartire dalle ottime intuizioni di quel lavoro, ripensarle e ricalibrarle potrebbe rivelarsi la tattica vincente.
(25/10/2014)