Con Phillips ai field-recordings e Hasegawa ai filtri e agli effetti, il disco si avventura lungo sentieri ostili e non di rado traumatizzanti, in cui i suoni concreti e quelli riprocessati finiscono, spesso e volentieri, per confondersi, dando vita, nell’immediato, a sudari elettrostatici che crescono tra rombi ed esplosioni assortite, mentre l’affastellarsi di milioni di insetti, invasa la scena, annuncia l’apocalisse (“Scrap Breeding”).
Con “Hexapod Retaliation” sconfiniamo nel vuoto pneumatico della drone-music, ma l’affresco è innanzitutto rivolto all’evocazione di una ruvida e lercia spirale di harsh-noise che, tra picchi assordanti e declivi riflessivi, finisce per risolversi in uno statico rumore di fondo. L’espressionismo disumano di queste partiture raggiunge il picco, in termini di saturazione e confusione delle sorgenti, con “Radioactive Darkness”, che fa pensare a una foresta di simboli sonori sempre più impenetrabile (la stessa che invaderà le casse alla fine di “Arthropod Frequency”) o a un flusso di coscienza per androidi sotto anfetamina.
Se, quindi, il brano più psicologico è “Anthophila Genocide”, con cui i nostri s’inabissano nell’oceano dell’inconscio collettivo, "Anuran Mutant", con i suoi quasi ventiquattro minuti di durata, rappresenta invece il momento più enigmatico, andando a comporre un mosaico in lenta evoluzione in cui convivono sinistre fluttuazioni e vischiosi rigurgiti di dark-ambient, fuori bordo cosmici dentro buchi neri percettivi e sprazzi di glitch-music dell’iperspazio, detour tra i meandri di caverne marziane e registrazioni sul campo di quelli che, con tutta evidenza, sono rospi alieni.
(11/10/2015)