Foals

What Went Down

2015 (Transgressive)
alt-rock, pop-rock

Smaltita la sbornia per l'apprezzato "Holy Fire", i Foals rientrano in pista più solidi che mai, certi di aver trovato finalmente la propria quadratura definitiva. Non è affatto un caso, dunque, che l'evento sia davvero di quelli importanti. Del resto, Philippakis e soci hanno saputo mantenere alta la bontà della proposta fin dalle prime battute della loro carriera.
A distanza di sette anni dal pop mutante e un po' acerbo di "Antidotes", la band originaria di Oxford è riuscita a delineare un vero e proprio tratto distintivo, quel mood sonoro del tutto personale capace di differenziarla egregiamente dalla massa. Il cammino intrapreso fino al qui presente "What Went Down", quarto disco in sette anni, è stato tanto articolato, quanto a tratti coraggioso, soprattutto nel recente e delicato passaggio dall'ambizioso e talvolta sfuggente "Total Life Forever" al più immediato "Holy Fire". Una transizione popular graduale e parziale, da cui sono nate perle radiofoniche del calibro di "My Number", vere e proprie hit in grado di spingere questi cinque ragazzi nei piani alti del rock britannico, e quindi del rock planetario.

L'istrionico Yannis Phillippakis sembra aver definitivamente messo da parte l'insicurezza vocale dei primi tempi, mentre i fidati Bevan, Gerves e Smith tengono in piedi la baracca per tutto il tempo senza mai strafare, puntando più che altro al raggiungimento di un suono compatto e avvolgente entro cui far comodamente rientrare ogni possibile smania strumentale del passato: dal piglio math-funk delle chitarre in appoggio alle poche ma intense accelerazioni hard-rock presenti nei due episodi più frenetici, fino al caldo mantenimento di una formula dream-pop a sprazzi eterea e trasognata. Le tastiere di Edwin Congreave, ora morbide e cullanti, ora inquiete e stravaganti, fungono al contempo da collante e da impacchettatrici finali di un'attitudine melodica sempre più fruibile.

L'inizio è ancora una volta impetuoso. Il riff muscolosissimo della title track apre le danze in una sorta di catarsi metallica dai tratti decisamente ansiolitici, con tanto di motorik in entrata ed esplosione finale da stadio. È il primo singolo di lancio al disco e serve a mettere le cose bene in chiaro: anche i Foals hanno l'atomica. Al contrario, il trotto più sbarazzino, ma non per questo meno intenso della successiva "Mountain At My Gates" verte verso ritmi più composti, con il buon Edwin nelle vesti del timoniere hawaiano. Stesso dicasi dell'atmosfera catchy di "Birch Tree", con il suo bel tastierone synth-pop in coda a innalzare i bollenti spiriti in gioco.

I toni si ammorbidiscono nell'immancabile love-ballad "Give It All", a seguire le orme dell'intramontabile "Spanish Sahara", prima che "Snake Oil" riaccenda il fuoco attraverso un'andatura più sostenuta con un portentoso riff a mo' di Jimmy Page (!) in bella mostra. Le chitarrine funky-wave tornano a palesarsi al meglio in "Night Swimmers", prima che la carezzevole e notturna "London Thunder" accompagni uno struggente e riflessivo Philippakis mediante una sottile risacca ritmica. I sette minuti scarsi di floydiana memoria della conclusiva "A Knife In The Ocean" alzano l'asticella delle emozioni in una lenta ascesa verso l'alto tanto onirica, quanto narcotica.
È la degna chiusura di un album penetrante e mai eccessivo, che conferma senza troppi escamotage stilistici il potenziale di una band nel pieno possesso della propria forza compositiva e della propria maturità artistica.

01/09/2015

Tracklist

  1. What Went Down
  2. Mountain At My Gates
  3. Birch Tree
  4. Give It All
  5. Albatross
  6. Snake Oil
  7. Night Swimmers
  8. London Thunder
  9. Lonely Hunter
  10. A Knife In The Ocean


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