L'immagine, il suono, la parola: questi nell'ordine gli elementi fondanti dell'opera cinematografica, e all'inverso nella poetica di una realtà inscalfibile della musica indipendente italiana. Se è vero che abbiamo sempre amato il carattere letterario dei Massimo Volume, nel recitato schietto e lineare di Emidio Clementi, è anche per la qualità immaginifica del loro sound, eco della New Hollywood e della narrativa minimalista postbellica.
Ascoltando “Senza un posto dove dormire” riusciamo a vedere le luci che battono sul cofano di una macchina in corsa nella notte, così come la funerea chitarra di “Inverno '85” può farci crollare addosso quel metaforico soffitto che cede sotto il peso delle bombe. Ma nei lavori che il gruppo ha dedicato al cinema – dalla colonna sonora di “Almost Blue” (Alex Infascelli, 2000) all'azzeccata sonorizzazione de “La caduta della casa di Usher” di Jean Epstein – si è parimenti dimostrata la capacità di riconoscere i contesti nei quali le parole non bastano, o più semplicemente non servono.
L'empatia nei confronti della storia di vita “Luce mia” dev'essere stata immediata: il docufilm d'esordio dell'autore e protagonista Lucio Viglierchio, presentato al 33esimo Torino Film Festival, segue passo passo le fasi di superamento di una grave malattia, la leucemia mieloide acuta, grazie anche alla vicinanza e al sostegno reciproco con un'altra paziente, Sabrina.
Di fronte a una testimonianza così umana e sincera, che ha registrato il tutto esaurito a ogni proiezione, le musiche del quartetto non potevano che ricalcare la commozione suscitata da quella storia, mettendosi più che mai a nudo e restringendo il loro stile ai minimi termini.
Poche, sommesse note distribuite su sei brevi sequenze: riquadri musicali che anche da soli riescono a evocare la più profonda solitudine (“Nella stanza”, con un suono di chitarra frammentato e riassemblato nello spazio acustico), il senso di attesa e di speranza (“Luce mia”), la raggiante presenza di un altro essere umano (“Sorella”, memore delle estatiche armonie degli Immanu El).
L'inedito sguardo sulla realtà passa anche per i luminosi accordi di una chitarra acustica (“Da qui si vedono le montagne”) – che altrimenti ritroveremmo solo nella veste solista di Egle Sommacal – e ci meraviglia ancor di più la semplice melodia di pianoforte del finale, tra il baluginio di un'elettrica in clean che va e viene come se, dopo la lunga degenza, si tornasse finalmente a tirare il fiato.
Da ultimo c'è la gratitudine e la volontà di restituire il favore: la soundtrack è liberamente scaricabile dal sito del gruppo, in qualità mp3 o cd, contribuendo a puntare l'attenzione su un'opera prima che, in linea con uno stile documentario tutto nuovo in Italia (da “La bocca del lupo” a “Noi non siamo come James Bond”), vuole tornare a raccontare senza ambizione né artificio la vita vera e vissuta.
A viso aperto siamo “meglio di uno specchio”, perché vediamo noi stessi attraverso l'altro. Un'emozione rara e dimenticata, che ci coglie specialmente nei momenti avversi ma che dovremmo sempre ricercare con abnegazione, un giorno dopo l'altro.
01/12/2015