“La sensazione di attraversare guadando la propria vita”: questa reazione, “Water Dreams”, si pone l’obiettivo di evocare nell’ascoltatore – “idee, cammini che non si realizzano”, questi sono i sogni d’acqua che Robin Bacior racconta nel suo splendido secondo disco, in cui tutto suona appunto sommerso, ricordi e rimpianti che ribollendo tornano in vita, per breve tempo.
Giovane cantautrice californiana, Robin ha conosciuto a New York il violoncellista Dan Bindschedler, con cui si è poi stabilita nella mitica Portland, Oregon, per continuare insieme la loro vicenda musicale. “Rest Our Wings”, del 2011, è stato il suo esordio, che già metteva in luce il suo fine gusto musicale e il tocco emozionante con cui sa reinterpretare la tradizione cantautorale americana.
“Water Dreams” è un disco che dimostra però una grande crescita per Robin: l’espressività si fa più coesa, lo stato d’animo generale trova corrispondenza in un abito musicale definito e suggestivo. Arpeggi spettrali per narrazioni gothic-folk (“Headless Sheep”); tormentati, dinoccolati tocchi al pianoforte alleviati dal violoncello di Bindschedler (la Stevens-iana “Your Best Advice”); il dualismo acustica-pianoforte del disco mette in luce il dualismo tra le possibili muse della Bacior, l’ultima Alela Diane (di cui condivide l’interpretazione insieme dimessa e carismatica) e Nona Marie Invie (“Under Knees, Understand”), la cui crescita artistico-esistenziale espressa in “Who Needs Who” è rispecchiata in questo “Water Dreams”.
Emerge, nel corso del disco, anche l’apporto per nulla comprimario di Bindschedler, vera seconda voce di “Water Dreams” e ispiratore degli intermezzi e delle chiusure più epifaniche dell’album (“Smoke Screen”, indimenticabili le staffilate della title track, l’emozionante, Muhly-iana “Kind Of Light”). Bella e necessaria anche la presenza di percussioni e batteria.
E si sviluppa così un altro ottimo lavoro, uno di quelli in cui vicende e pensieri personali risultano trasfigurati in una grande epica di cartapesta, costruita in un sogno lungo una notte, tra nenie apparentemente svagate, o meglio “sommerse” (“If It Does”), e lenti abbracci danzanti in un saloon sottomarino (“Poolside”). Il primo pezzo da memorabilia del 2015.
08/02/2015