La passione del blues e del fingerpicking, ma pure la passione di Cristo sulla croce. La luna e la polvere di una highway americana, ma pure quelle del Golgota e del Getsemani. Il cammino inteso come viaggio, il percorso come espiazione, il mistero come unico approdo. Che non è mai un approdo definitivo giacché il mistero si rivela e si rinnova, rinnovando la necessità del viaggio. È esattamente così, “Blind Sun - New Century Christology”. Quando finisce hai la sensazione di aver già visto tutto, di essere già stato dove la tua anima ti può portare: ovunque. Poi però ricomincia e i paesaggi immaginari sono inesplorati, le mete spirituali ancora tutte da conquistare. E così via ad ogni nuovo ascolto. Sarà perché in questo disco il suono è trattato per quello che è - dimensione fisica generata dalla meccanica dello strumento – ma anche e soprattutto per quello che è capace di diventare. Altrove metafisico. Quando suoni uno strumento musicale hai due opzioni: puoi organizzare le note secondo grammatiche compositive più o meno innovative o inventare mondi, evocare luoghi. Stefano Pilia da abile chitarrista fa la prima cosa, ma – da grande artista - la fa in funzione della seconda. Più che un musicista, è un poeta: uno che inventa immagini. E la scena musicale italiana ha disperatamente bisogno di poeti che cantino senza parlare, evitando l’equivoco del fraintendimento, la retorica dell’impegno.
In principio fu il verbo - narra la Bibbia - ma il verbo è fonetica, rumore, appunto suono. Nel caso di Pilia, quello della chitarra. Che sia acustica o elettrica, ogni episodio è una cosmogonia che separa la luce dalle tenebre, il dolore dalla gioia, il male dal bene. La tensione spirituale che si avverte in queste dodici tracce strumentali giustifica pienamente il richiamo cristologico del titolo, che non deve essere interpretato necessariamente come un riferimento religioso ma piuttosto – forse - come anelito all’assoluto, al divino latente in ogni uomo. Pilia cerca il proprio passando attraverso toccanti commemorazioni (“Ada”, “Little Ada”) e quiescenze astrali (le corrusche dissolvenze in slide di “Butterfly Aeon”, i riverberi baluginanti di “Blind Moon”), trasfigurando Blind Willie Jonhson nel Ry Cooder onirico di "Paris, Texas" (“Dark Was The Night, Cold Was The Ground") e Washington Phillips nel John Fahey che benedice Dvorak (“What Are They Doing In Heaven Today”). Finisce presto per mostrarci il nostro, disancorandoci dalla carne lungo le trame trasognate - intessute dal violino di Rodrigo D’Erasmo - di “Stand Behind The Man Behind The Wire” che se la gioca col James Blackshaw più immaginifico. Persino nelle composizioni spudoratamente sperimentali (“Getsemanhi Crickets Night Air”, “The Cross Peregrin Falcon N.C.") la ricerca timbrica e l’arsenale effettistico non retrocedono mai a vacua tautologia ma si fanno carico di significare comunque qualcosa, foss’anche un niente che è tutto direbbe Montale.
Stefano Pilia è uno dei chitarristi italiani più stimati in circolazione. Vanta collaborazioni prestigiose con musicisti nazionali e internazionali. Ha suonato con David Tibet, Rhys Chatham e John Parish, ha prestato la sua chitarra ai Massimo Volume nell’ottimo “Aspettando i barbari” ed è reduce da un fortunato tour con gli Afterhours. Finora la sua produzione discografica è stata piuttosto frammentaria (rivoli di collaborazioni, dagli In Zaire a David Grubbs) e settoriale (“Action Silence Prayers” pubblicato per la sempre venerabile Die Schachtel). “Blind Sun - New Century Christology” potrebbe proiettarlo - con pieno merito – oltre la ristretta cerchia avant, visto che si tratta di un lavoro poetico, errabondo e notturno. Mai fosco o tetro però. Notturno, come le stelle di Van Gogh.
29/04/2015