Parlare di techno music con Andy Stott è ormai quasi del tutto inappropriato. Il produttore di Oldham, di base a Manchester, è sempre più lontano dai battiti regolari propri del genere, e ha assunto nel corso degli ultimi quattro anni una conformazione produttiva rigorosamente personale, le cui fondamenta poggiano su decompressioni ritmiche talvolta indecifrabili, e andature tanto aliene, quanto alienate.
Giunto al quarto disco in dieci anni, il buon Andy procede dunque “spedito” in questa sua peculiare ricerca del beat soporifero ad effetto, calibrando le proprie partiture elettroniche mediante tastiere che seguono una celestialità da porre puntualmente in netto contrasto con l’incedere narcotico e dalle tinte dub che pervade interamente la sua musica.
Ad ampliare questo programma, che rimanda e in più di un’occasione alle danze esoteriche degli amici Demdike Stare di “Symbiosis”, è l’utilizzo di voci femminili angelicamente filtrate e poste al centro del suono, a fungere tanto da muse, quanto da eventuali traghettatrici verso qualche nuovo limbo da raggiungere.
“Too Many Voices” è, quindi, fin dal titolo emblematico, un’opera che affonda tutto il suo charme elettronico nella contrapposizione spirituale tra flusso vocale e dispersione ritmica. Stott modella le proprie articolazioni intrecciando e sciogliendo tempi diversi a seconda dell’umore da inseguire, come accade nel dub distopico di “First Night” o nel battito dreamy di “Butterflies”, il quale sembra quasi voler strizzare l’occhio alla tanto discussa vapor-wave, vaporizzandosi, per l’appunto, attraverso una pachidermica profusione di impalpabili richiami vocali dai tratti r’n’b.
A differenza di quanto annusato in “Faith In Strangers”, nel quale la tetraggine da sottofondo horror aveva il compito di inseguire un rituale spesso inanimato, in “Too Many Voices” l’oscurità è parziale, e il mantra raggiunge profondità maggiori, come accade nell’eccellente “New Romantic”, il cui basso obliquo riesce a mordere e a scavare a fondo, mentre il synth appena abbozzato dona luce quanto basta per accendere il desiderio più recondito.
Le disarticolazioni industrial di “Selfish” segnalano al contrario perdizione e un melanconico estraniamento. Mentre tracce come “In My Mind” rimettono in circolo la voglia matta del produttore inglese di evadere dal passato, dissolvendosi su base two-step in una scia elettronica di accattivanti sfumature. L'intento è di condurre l’ascoltatore sopra qualche nuvola, sollevandolo mentalmente dal suolo, ma soprattutto dalla propria immaginifica "pista da ballo".
In tal senso, non è affatto un caso che le esibizioni dal vivo di Stott siano un’esperienza semplicemente unica e in sostanza inimitabile, con il manipolatore nelle vesti dello sciamano caduto dal cielo, atto a riconciliare anima e corpo mediante un rituale dai risvolti ritmici enigmatici. Si prendano da esempio luminoso le insondabili fughe esoteriche di “Over” e l’ammaliante title track che decompone alla sua maniera la Bjork intima e tormentata del bellissimo “Vespertine”.
In conclusione, “Too Many Voices” chiude con eleganza un cerchio iniziato con i precedenti “Luxury Problems” e “Faith In Strangers”, implodendo definitivamente nell’oscurità senza mai eccedere nell’autocompiacimento anestetico, restando dunque bene a galla, sospeso ad ogni suo lieve battito tra smarrimento, estasi e una buona dose di purificante meraviglia.
09/05/2016
1. Waiting For You
2. Butterflies
3. New Romantic
4. First Night
5. Forgotten
6. Selfish
7. On My Mind
8. Over
9. Too Many Voices