Già performer, cantante, attrice e autrice di colonne sonore per il teatro, Virginia Quaranta catalizza e sintetizza le sue abilità come compositrice a nome Bebawinigi nel primo mini-album omonimo. Se i riferimenti presi a prestito sono nomi ormai noti del più impervio cantautorato internazionale, da Diamanda Galas a Carla Bozulich (senza dimenticare le traduzioni nostrane come Alos e Claudio Milano), la sostanza dei suoi manufatti testimonia anche una ricerca meditativa, se non proprio psicofisica.
Solo il basso batte una linea blues nella palude di fragori di “Did You Get…”, mentre si fa largo una cantilena fatalista da sexy-strega Lydia Lunch-iana in un crescendo orgasmico. Quaranta cambia idioma, o meglio lo inventa di sana pianta, per “Cugino Itt”, forzando una filastrocca bambinesca a formula demoniaca, mentre un impasto di tuba, archi e percussioni si fa instabile, sempre lì lì per accelerare, fino a una sorta d’estasi clownesca.
La stessa impostazione (formula come esorcismo, lingua inesistente, arrangiamento informe) si ripete per “Fabula”, ma stavolta il formato è lontanissimo, una sonata gotica per violoncello, vento, strimpellii acustici, e soprattutto il suo contralto angosciato. Il canto muta ancora per “Dogs & Sharks”, in senso spiritual, in uno scenario sonico che frana di continuo, per poi esibirsi in un assolo per voce roca che è uno dei gioielli del disco.
Completato da un’altra delizia, il balletto-rituale di streghe violentato dagli archi di “Maramori”, sciupato da una canzone sciattamente acustica che regala come bonus un’altra canzone acustica (“Telomelo”), disegnato dall’autrice a canto, cello, glockespiel, kazoo e percussioni, e arricchito da una dozzina di musicisti (tra cui un terzetto solo per gli effetti sonori), è un’operetta maledetta che - insieme - spaventa e intrattiene. Tra le sue qualità, anche l’incompiutezza. Definita “la Tom Waits italiana”: non solo.
07/05/2016