Ben Seretan

Bowl Of Plums

2016 (Love Boat) | alt-folk-rock

Uno dei "fenomeni" italiani degli ultimi anni, di quelli che nascono grazie all'angustia del pubblico musicale indipendente (o per sua colpa), nonché del suo corrispettivo "giornalistico" (che spesso coincide quasi esattamente), Ben Seretan è una figura senza dubbio particolare nel panorama cantautorale americano, e forse per questo suo carattere sghembo e autarchico è riuscito subito simpatico dalle nostre parti.
Entrambi i suoi lavori sono ora pubblicati dall'italiana Love Boat, dopo il tour dell'anno scorso che ha consacrato il suo status di culto "glocal", che ha portato il suo simpatico, ingenuo faccione negli occhi di molti appassionati.

La musica del Ben Seretan dell'esordio era torrenziale, brani di sette minuti e passa di rambling chitarristici Mascis-iani ("Ticonderoga"), che lo facevano sembrare il figlio illegittimo e un po' spostato di Roky Erickson ("Meadowlark"), una specie di Daniel Johnston in versione millennial. Il modo in cui i suoi pezzi si spingevano oltre i limiti canonici donava senza dubbio un fascino di integrità artistica, di sublimazione alla sua proposta - i suoi mantra diventavano a poco a poco veicoli di insondabile e intransigente espressione interiore ("Blues For Ian M.Colletti"). Di sicuro era ben apprezzabile l'immediatezza non improvvisata del tutto.
Per queste e altre ragioni si trattava di un disco che si prestava, per contro, a eccessive intellettualizzazioni, che lo stesso Ben Seretan sembra confutare in questo secondo "Bowl Of Plums", un album formalmente diverso, forse più "normale", ma decisamente più a fuoco. La nuova concisione dei brani non impedisce al cantautore di Brooklyn di esprimersi con libertà, passando da momenti estatici a veementi chiusure psych-rock già nell'iniziale "You Took My Blues Away", o ribaltando in una abbacinante catarsi "Thommy".

Non tutti i suoi fan della prima ora saranno soddisfatti, c'è da scommetterci, perché Ben sembra diverso, pacificato, e così anche i suoi brani sembrano abbandonarsi a sviluppi più classici, sulla scorta di un crooning perdente come quello di "In A Twin Bed". Anche "Cottonweed Tree" sembra la versione da copertina dell'irruenza rock dell'esordio, in qualche modo, con quel suo refrain da adolescenza perduta alla Smashing Pumpkins: ma non bisogna vergognarsi (anzi!) di un approccio lievemente più melodico, né di appoggiarsi un po' più alla tradizione, quando si ha la stoffa per ridarle vigore, e colore, sulla scorta di un trasporto quasi incosciente che pochi sanno esprimere al momento ("Blood In The Muzzle", "Kudzu", la title track col suo motto in falsetto "I'm so happy I could die").
Tutto sommato una bella conferma per Ben, sempre più vicino a quella consacrazione internazionale di cui potremmo per una volta andare, da provinciali, veramente fieri.

(13/07/2016)

  • Tracklist
  1. You Took My Blues Away
  2. Cottonwood Tree
  3. Bowl Of Plums
  4. My Lucky Stars, Part 2
  5. In A Twin Bed
  6. Getting Out
  7. Blood On The Muzzle
  8. Thommy
  9. Kudzu
  10. You Are On The Water
  11. I Like Your Size
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