Frank Ocean

Blonde

2016 (Boys Don't Cry)
post-modern soul, electro-songwriter

Avete mai visto il video di "The Diver" di Stina Nordenstam? Trattasi di un tesissimo racconto sull'ansia da prestazione, una visione che a tutt'oggi mi crea un fortissimo vuoto allo stomaco. Questo per dire che Frank Ocean non avrà forse vomitato sul pavimento come la ballerina ritratta da Stina, ma sappiamo bene che il suo è un animo timido e fondamentalmente schivo, e che questi ultimi anni devono essere stati alquanto pesanti. Un trionfo di pubblico e critica come "channel ORANGE" deve aver portato con sé effetti collaterali impossibili da immaginare per chi, come noi, non li può vivere in prima persona. Sta di fatto che, una volta finiti gli obblighi promozionali, Frank ha staccato la spina ai suoi canali social e s'è dato alla macchia.

Durante la sua assenza, ovviamente, l'attesa è montata esponenzialmente, creando attorno a lui una bolla sfruttabile a proprio vantaggio - nell'era del sovraffollamento mediatico, chi può permetterselo sa bene che less is more. Ma per Frank, dare alle stampe un seguito è stata prima di tutto un'impresa logistica non indifferente. La Def Jam, la sua vecchia nemica con la quale non è mai andato a nozze, aveva già stipulato un accordo con la Apple per offrire l'anteprima esclusiva del suo nuovo lavoro. Frank le ha dato "Endless", un caotico visual-album di tre quarti d'ora, durante il quale lo si osserva mentre monta una scala al ritmo di suoni sfilacciati, voci fuori campo e field recording di varia natura. La simbologia nascosta dietro l'immaginario della scala è già stata oggetto di centinaia di disamine, alcune delle quali pure interessanti, ma l'ascolto della musica qui contenuta rimane sostanzialmente elusivo. Con l'eccezione di una splendida cover di "At Your Best (You Are Love)" degli Isley Brothers, e una stramba traccia techno posta in chiusura, "Endless" è stato il suo personalissimo Titanic, un'insostenibile e pesantissima costruzione di pensieri mandata a infrangersi con un tonfo liberatorio contro l'iceberg dell'ansia da prestazione, mentre, allo stesso tempo, dà il benservito all'etichetta estinguendo il contratto con un gigantesco vaffanculo.

Il giorno dopo, infatti, Frank ha pubblicato l'album vero e proprio - "Blonde" - messo sempre in esclusiva su Apple, ma stavolta attraverso la sua personale label Boys Don't Cry. Una mossa che gli consente adesso di prendere tutti gli introiti del suo lavoro, lasciando il Gigante a bocca asciutta - diamogli credito per una simile presa di posizione. Ma "Boys Don't Cry" è anche il nome di una rivista che è stata distribuita gratis il giorno dell'uscita del disco in selezionati negozi in giro per il globo; al suo interno, foto e interviste a svariati personaggi della popular culture contemporanea, oltre al cd di "Blonde". Con una parata impressionante di nomi creditati alla rinfusa - da David Bowie a Jonny Greenwood, Beyoncé, Andre 3000 e Kendrick Lamar - Frank ancora una volta ha creato un progetto che spinge il pubblico a guardare oltre l'apparenza, a partire da quella sfuggente identità queer che continua a destare confusione tra il pubblico meno avvezzo ai bordi indefiniti - esempio: l'album si chiama "Blonde" - sulla copertina viene scritto "blond" - lui in foto ha i capelli verde acido.
Se si considera l'aspetto puramente critico, Frank Ocean ha vinto su tutti i fronti: è riuscito a deflettere l'incredibile pressione che gli gravava sulle spalle, e portare a compimento un progetto che alla parola "compromesso" risponde appunto con un sonoro "vaffanculo". Polso fermo e una caparbia visione artistica, Frank è un artista post-moderno che non può non ispirare - o almeno incuriosire - con quello che fa. Ma tutto questo si sapeva già, il precedente album rimane un caposaldo do scrittura, e il mondo aveva deciso a priori che qualunque cosa Frank avrebbe fatto sarebbe stata comunque un successo.

Peccato solo che, in mezzo a questo marasma, ci siamo pure noi, l'antipatico pubblico pagante al quale sono ultimamente lasciate le conclusioni sull'operato. Al momento, nel mondo di Internet, addentrarsi all'interno di "Blonde" sembra una gara a chi la scopre più intensa, ma per quanto mi riguarda il retrogusto che rimane sul palato ha un sapore spesso amarognolo. Non si può tacciare Frank di presunzione, visto che la sua presenza è più defilata che mai, ma dal momento che la sua musica s'è fatta criptica come un diario segreto protetto a doppio lucchetto, è altrettanto naturale trovarsi spaesati di fronte al suo ascolto. "Blonde" si dipana lentissimo per oltre un'ora di musica, tra esangui linee di tastiera registrate in casa e trame di chitarra lasciate a fluttuare nel più solitario dei minimalismi. Di ritmo c'è giusto qualche accenno ogni tanto, spesso ottenuto tramite scontate basi elettroniche pre-impostate, mentre la voce si nasconde tra sample e vocoder.
Certamente è bello ascoltare la dolce melodia strimpellata di "Ivy", che ricorda quasi lo spensierato Toro Y Moi degli esordi, così come l'emotivo giro di pianoforte senza tempo di "Futura Free", e l'elegiaco coro che prende piede sul finale di "Self Control", un momento a dir poco ultraterreno nella sua semplicità. Ma questi rarissimi accenni melodici sparsi qua e là non durano quasi mai più di un minuto ciascuno, il resto di "Blonde" si perde nel rumore e nella bambagia di una mente annebbiata e solipsistica, anche quando il materiale melodico sarebbe di prim'ordine - "Close To You" è una rivisitazione del classico che Burt Bacharach scrisse per i Carpenters, mentre "White Ferrari" si ricalca su stralci di "Here, There And Everywhere" dei Beatles. L'alienazione, il sesso, le paure e la critica sociale delle liriche vanno seguite passo passo, ma tendono comunque a perdersi nella nebbia.

A conti fatti, "Blonde" si riassume in una semplicissima definizione: un mixtape a uso personale. Il timido Frank ha passato gli ultimi anni in fuga dalla società di tutti i giorni, assorto nei propri pensieri e distratto da viaggi esotici, macchine sportive e le costanti richieste della sua presenza da parte dei nomi più grossi del mondo della musica, della fotografia, della moda e del cinema. Accontentare tutti era impossibile, e Frank ha deciso di seguire il suo cuore. La sua posizione, oggi, è quella di un uomo libero di fare quel che vuole, dal momento che tutto gli è concesso, ma allo stesso tempo rende a noi l'immagine di un uomo tremendamente solo, perso tra i meandri della psiche e confuso dalla valanga di soldi e privilegi che gli sono piovuti tra capo e collo, mentre il resto della comunità l'ha eletto a paladino del decennio (credete sia una posizione facile da gestire? Chiedete a D'Angelo). Comprati pure un macchinone sportivo, vai a cena con Raf Simons, scopati qualche modello, ma poi? Frank non è Kanye, la sua arte non si può incasellare in un cut & paste di frattaglie popular coadiuviate da un ego fuori misura, e in questo momento di forte confusione personale l'epopea "Endless"/"Blonde"/"Boys Don't Cry" lo rappresenta in pieno, con tutte le vittorie e le scorciatoie imboccate del caso. Proprio come quella scala che ha costruito con le sue stesse mani, e che potrebbe portare a tutto come a nulla, l'arte di Frank Ocean s'è fatta talmente sfuggente che seguirla è diventato un gioco troppo personale per potersi esprimere in un valore univoco; questi suoi ultimi due mixtape sembrano quasi una rappresentazione della frastagliata e nevrotica era social nella quale viviamo, come se l'autore adesso volesse re-insegnare al mondo l'arte della pazienza e dell'applicarsi a comprendere le cose prima di aprire bocca, ma qui stiamo già divagando fuori dai confini di una recensione, per cui tanto vale chiuderla e lasciare a ognuno di voi le proprie conclusioni meta-musicali.

C'è di buono che da tutta questa storia ne esce fuori l'immagine di un uomo artisticamente ancora in movimento, che sa dare un valore alla propria arte e non ha la minima intenzione di svendersi. Speriamo solo che, al prossimo capitolo, oltre a tentare di sfuggire ai propri demoni, Frank riesca anche a sconfiggerne qualcuno, per il bene di tutti noi.

02/09/2016

Tracklist

  1. Nikes
  2. Ivy
  3. Pink + White
  4. Be Yourself
  5. Solo
  6. Skyline To
  7. Self Control
  8. Good Guy
  9. Night
  10. Solo (reprise)
  11. Pretty Sweet
  12. Facebook Story
  13. Close To You
  14. White Ferrari
  15. Seigfried
  16. Godspeed
  17. Futura Free

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