Se la memoria non inganna, sono già tre le colonne sonore in carniere, fra le quali la più riuscita è al momento la più recente, composta per accompagnare la serie Tv francese di grande successo "Les Revenants".
I contenuti del nuovo lavoro, "Atomic", sono la rivisitazione delle musiche composte la scorsa estate per il documentario "Atomic: Living In Dread And Promise" (attualmente 7.1 il rating su IMDb) diretto da Mark Cousin per la Bbc, realizzato per ricordare un drammatico anniversario: i settant'anni dalla tragedia di Hiroshima.
La band scozzese si è immersa completamente nell'atmosfera, recandosi anche a visitare il Parco della Pace di Hiroshima, e ha partorito dieci tracce dal tono profondamente evocativo, affidandosi in maniera quasi esclusiva all'uso dell'elettronica.
L'iniziale "Ether", intrisa di malinconia e toni epici, con il suo crescendo abilmente studiato, conferisce subito il tono all'album, durante il quale ritroviamo gli ingredienti tipici del suono Mogwai: il gusto per la ripetizione e per l'accumulo progressivo ("SCRAM"), l'andatura marziale e decadente ("Pripyat"), la magniloquenza estatica ("Bitterness Centrifuge"), gli accenti wave ("U-235"), le rarefazioni cosmiche (presenti un po' ovunque).
La seconda parte del disco ha momenti più descrittivi (quasi inquietante l'andatura di "Weak Force" e "Little Boy"), e dal punto di vista musicale riserva i maggiori acuti in corrispondenza dell'emozionale "Are You a Dancer?" (con il violino in gran spolvero) e nella lievemente disturbata "Tzar".
Pianoforte prima e chitarra poi cesellano la conclusiva desolazione di "Fat Man", il nome della bomba nucleare che venne sganciata su Nagasaki, l'epilogo della Seconda Guerra Mondiale. Poi il silenzio. La distruzione è avvenuta. La strage è compiuta.
In "Atomic" tutto è pensato in funzione dello scopo narrativo, seguendo un filo logico strumentale allo svolgimento di uno storyboard, anche se documentaristico. E i risultati sono sorprendenti: la visione della pellicola mostra un perfetto connubio fra suono e immagini, ma l'apparato musicale resta coinvolgente anche se svincolato dal documentario.
I tempi di "Young Team" e "Come On Die Young" saranno anche irrimediabilmente lontanissimi, l'effetto sorpresa non navigherà più da queste parti, ma i Mogwai nel tempo sono sempre riusciti a mantenere una qualità altissima in tutte le proprie pubblicazioni, conservando quell'istintiva curiosità che li ha spinti a sperimentare in maniera costante, dimostrandosi fra i migliori al mondo quando decidono di mettersi a disposizione delle esigenze cinematografiche.
Ormai alla pari con tutti i più quotati compositori di colonne sonore contemporanei, i Mogwai non riuscirebbero a partorire un'operazione malriuscita neppure se ci si impegnassero davvero. E anche in questo caso non si smentiscono.
(10/04/2016)