Gli scozzesi Mogwai, fondati dal chitarrista Stuart Braithwaite insieme a Dominic Aitchison (basso), John Cummings (chitarra), e Brendan O'Hare (batteria), dopo la pubblicazione di alcuni Ep assurgono all'onore delle cronache con l'epocale album di debutto, "Young Team" (1997), vero e proprio archetipo di quel post-rock basato su lunghi brani chitarristici che alternano momenti morbidi e dilatati a vere esplosioni di fragore sonico secondo la formula loud-quiet-loud.
Il loro modello è evidentemente rappresentato dagli americani Slint, di cui riprendono la formula di un rock strumentale, con rari interventi vocali al limite del parlato. Per esempio l'iniziale "Yes ! I'm Long Way From Home" inizia come una bucolica ballata, spinta da un basso melodico e da pacati tocchi alla sei corde fino a quando la tensione strumentale cresce e irrompe una chitarra duramente effettata. L'intervento però non toglie al brano il suo carattere melodico e presenta infatti un uso molto controllato delle distorsioni.
Si tratta però di una semplice introduzione al vero manifesto stilistico della band, ovvero la lunga odissea di "Like Herod". Questa inizia morbida come la prima, anche se più tesa per la nevrosi circolare della batteria, poi, quando tutto sembra essersi placato fino alla stasi, introduce un riff squassante, ai limiti del metal, accompagnato da una nuova ripresa della sezione ritmica. Terminato il climax si torna a una nuova quiete, ora simile a quella prima della tempesta, e destinata infatti a essere di nuovo travolta da una esplosione di feedback e percussioni. Dopo questo terremoto il brano si spegne lentamente, come una colata di lava sonora che si solidifica dopo l'eruzione.
Il brano è un vero manifesto dell'arte drammatica dei Mogwai, capaci di costruire atmosfere da thriller tra silenzi minacciosi e controllati scoppi di maestosa furia chitarristica, e mette anche in luce le differenze rispetto ai maestri di Louisville. I Mogwai sono meno freddi e contenuti, molto più melodici, dimostrano una voglia di giocare coi topoi del rock proprio mentre lo si sta scardinando, ma anche un'etica spontaneista e viscerale, tutta giocata su una rappresentazione delle emozioni non mediata dalla ragione. La differenza maggiore rispetto agli Slint è infatti che qui ci troviamo in un territorio meno cerebrale, meno alienante, ma volto bensì a registrare con spietata sincerità percorsi emotivi che non per forza devono giungere a una risoluzione ma possono drammaticamente accumulare tensione e pathos soltanto per spegnersi e ricominciare da capo il processo col brano successivo. Colpisce l'uso di distorsioni e dissonanze in chiave non tanto noise o disturbante, quanto pittorica, giocata sulla ricercatezza dei timbri e degli effetti tattili del suono, che li avvicina all'estetica del movimento shoegaze che aveva impazzato in Inghilterra a inizio decennio. Ne scaturisce una sorta di kolossal per camerette solitarie, privo di barocchismi e velleità narrative.
Ecco quindi altre giostre di saliscendi chitarristici come "Katrien"e "Summer", propulse da semplici fraseggi melodici e dal gioco di dinamiche creato dalla sezione ritmica e dall'accendersi delle distorsioni. Nella prima è presente anche la voce, ridotta però a un parlato incomprensibile, che finisce per risultare soltanto una ulteriore aggiunta alla trama sonora del brano, aiutando la chitarra a montare un crescendo nervoso ed emotivamente sfiancante. "Tracy", invece, propone un'atmosfera intimista più simile a quanto la band proporrà nei dischi successivi, costruita su un semplice fraseggio del glockenspiel ripreso da basso e batteria, sullo sfondo di echi lontani e glaciali. Ci troviamo però ancora in territori più vicini alla ambient, piuttosto che alle semplici ballate che prenderanno il posto di un brano come questo su "Rock Action" del 2001 e "Happy Songs For Happy People" del 2003.
Certo il mood introverso e depresso dei primi anni del nuovo millennio, che non a caso vedrà trionfare le brume artiche degli islandesi Sigur Ros, ma anche gli amniotici Radiohead di "Kid A", è qui anticipato. L'edonismo del britpop sembra invece già distante nel passato (per fortuna, direbbero i Mogwai), e l'asse stesso della musica britannica passa da Londra a Glasgow, come se si sentisse l'esigenza di un contesto più raccolto, adatto a sfoghi liberatori e caldi ripari di fronte al gelo del millennio incombente.
"With Portfolio" funge da spartiacque del disco, con la sua limpida frase di piano man mano devastata da distorsioni elettroniche che corrono da un lato all'altro delle casse, in un esercizio disturbante e beffardo, fino a introdurre "R U Still Into It". Questa riprende e completa la sezione atmosferica del disco, proponendo un folk al rallentatore e la voce di Aidan Moffatt degli scozzesi Arab Strap, in un esercizio che rinsalda i legami dei Mogwai con lo slowcore dei colleghi e con una convivialità di malinconie e passioni, nata tra i pub del quartiere universitario della Glasgow di fine secolo.
I due minuti della pianistica "A Cheery Wave With Stranded Youngsters", infine, sono un piccolo abisso di inquietudine che prelude all'apocalisse finale. "Mogwai Fear Satan" è infatti il secondo apice maestoso del disco, dopo "Like Herod", nonché il brano più rappresentativo del primo periodo dei Mogwai, quello con cui gli appassionati finiranno per identificarli nonostante le varie svolte stilistiche. Qui, su una base ritmica ossessiva e tambureggiante, si elevano veri e propri muri di chitarre distorte, con lo stesso motivo che viene ripreso dal basso, dalle chitarre e infine da un flauto che giunge a colorare di mistero le pause tra un montare e l'altro della marea elettrica, e in particolare la magica coda finale. Il tutto giunge a costruire un lungo mantra psichedelico, per un totale di più di quindici minuti di trip catartico e sfogo emotivo, con tanto di rilassatezza e fatalismo finali.
E' il piccolo epos della gioventù alternativa dell'epoca, magari un po' fuori mano rispetto all'epicentro della coolness londinese, ma nondimeno bisognosa di scaldarsi il cuore in vista del freddo a venire.
I Mogwai sono dunque capaci, come i gruppi progressive, di costruire brani lunghi e articolati usando una strumentazione ricca (lo si vedrà meglio nel prosieguo della carriera) e classicheggiante, ma la scelta di eliminare la voce li allontana dal piglio narrativo di certi esponenti di quel movimento. I cambiamenti musicali all'interno dei brani sono infatti anche repentini cambi di umore, spesso sconfinanti nell'isteria o al contrario nella depressione: questa dinamica deriva dagli Slint e dalla scuola hardcore a loro precedente, è probabile anche un'influenza Sonic Youth. Soprattutto l'attitudine è importante, per un gruppo che intitolerà "Punk Rock" la prima traccia del successivo album, pur essendo questa del tutto avulsa da qualsivoglia legame con Sex Pistols e simili, a rimarcare invece che ciò che è fatto col cuore e lo stomaco, per puro piacere del fare musica, è punk-rock quanto la musica del 1977, a prescindere dalle forme musicali scelte.
Infine, la dolcezza atmosferica quanto fragorosa è debitrice nei confronti dei My Bloody Valentine, mentre lo scorrere torrenziale deriva della psichedelia sia nuova (Bardo Pond) sia vecchia (Pink Floyd), rispetto alla quale si è persa però ogni speranza di "apertura della mente". Si tratta quindi di una ardita sintesi, che sfocia in una versione decisamente più umanistica e lirica del gruppo di "Spiderland", sostituendo una emotività compressa, tipicamente britannica, al dramma psicologico degli americani.
La differenza rispetto ai gruppi di area neo-psichedelica, che non a caso stanno trovando il successo alla fine dei 90, pensiamo a Mercury Rev e Flaming Lips, è invece che i Mogwai sono serissimi, non avvezzi a giocare col kitsch e con le svariate forme musicali, fedeli al loro minimalismo anche quando sono tentati dalla possibilità di espandere lo spettro sonoro. Per questo non raggiungeranno mai la magniloquenza di un altro gruppo, i Godspeed You Black Emperor!, che partirà da premesse simili alle loro per costruire invece vere e proprie sinfonie.
In conclusione questo disco può essere considerato una sintesi parecchio inquieta di un decennio musicale, gli anni Novanta, che era cominciato con due dischi sconvolgenti come il suddetto "Spiderland" e "Loveless" dei My Bloody Valentine, due mondi sonori rispetto ai quali i primi Mogwai trovano una crepuscolare via di mezzo. Se la formula di "Young Team" darà vita a un intero filone musicale (tra i continuatori si possono citare sicuramente gli Explosions In The Sky), i Mogwai pongono le basi di un percorso sonoro tutto sommato umile nel ricercare la melodia e il puro sentimento che sono da sempre l'oggetto del rock, senza spacciarsi per gli avanguardisti che non sono, ma sforzandosi di raggiungere un obiettivo piuttosto comune in modi originali e moderni: sembra poco, ma non lo è.
Il disco è stato ristampato nel 2008, con tutte le tracce rimasterizzate e un'aggiunta di live e outtake.
21/09/2008