Ne beneficia in primis il canto mediamente camaleontico che può, così, divagare languido e meccanico in soundscape rarefatti se non proprio spettrali. È il caso di "Don't Wanna Be", ma il processo seguita e aggiunge il potere della nevrosi nell'hip-hop nerboruto Erykah Badu-esco tutto voci ed echi di "I Won't Say", con un refrain tintinnante jazzy, nella sorniona e quasi dadaista "How Strange It Is" (con clarino e piano scordato), nello scat electro-funk di "See Them" (un montaggio sonoro-freudiano di ritmi), nelle invocazioni muezzin di "Lonely Lover".
Ma Rubinos suona ancor più a suo agio nel rimescolamento degli ingredienti, in particolare quando cerca il fuoco: "Mexican Chef" sembra quasi campionare la "Sunshine Of Your Love" dei Cream per fratturarla in senso jungle, e "Just Like I" è un'altra vampa emozionale che fa leva sul blues-rock. Il contrasto tragicomico è sottilmente esilarante.
Zavorrata dai segmenti di lega leggera, un eccesso di tecnologia a favore dell'antiquariato in "Black Stars" e un eccesso di ego in "Right?" (ma anche una superflua produzione satura di effetti artificiali e intermezzi amatoriali che spezzano un ritmo già fiacchetto), è una buona cartina tornasole sullo stato di vitalità della black femminile di metà decennio 10. La supera, in coraggio e competenza, la "Emily" di Esperanza Spalding.
(15/06/2016)