Se conoscete i primissimi Communions, l'attacco di "Come On, I'm Waiting" vi farà saltare sulla sedia: che fine hanno fatto quei quattro
(post)punk danesi che condividevano immaginario, sonorità (e sala prove) con gruppi come
Iceage e
Lower?
La band che declinava la
neo-darkwave scandinava in veste sì melodica, ma sempre veemente e oscura (con richiami a band come
Killing Joke e - soprattutto -
Chameleons) lascia il posto a degli epigoni dei
Suede.
Fronteggiati da un
singer androgino, in "Blue" intessono melodie agrodolci, a tratti zuccherose: chi soffre di diabete musicale è avvertito. La prima reazione è, appunto, lo sconcerto, ma con i successivi ascolti, il nuovo Communions "cresce" e coinvolge: un effetto simile (con tutti i distinguo del caso) a quello che mi fece, una ventina di anni fa, proprio la band dell'iperbolico
Brett Anderson.
Il livello di glucosio sale esponenzialmente con il
britpop di "Today", brano cui segue un ibrido funk-rock ottantiano ("Passed You By"): i Communions non hanno paura di rincarare la dose, questo è chiaro. Nell'ultra-melodica ma potente "She's A Myth", infondono di sensibilità
emo l'impianto
wave imbastito da chitarra e sezione ritmica.
Purtroppo non tutti i brani vantano tale mordente, e la seconda metà del disco è in effetti punteggiata di episodi più "soft" (a tratti vengono in mente gli
Oasis): un ascolto comunque gradevole, ma che non lascia il segno. Sul finale risollevano un po' il tono del disco l'endorfina da
deja vù sprigionata da "It's Like Air" e il crescendo denso di pathos di "Alarm Clocks".
Il "salto nel vuoto" è una disciplina che viene qui intrapresa da atleti giovani ma ben allenati; l'Ep "Communions", del 2015, ha svolto in tal senso il ruolo di lavoro di transizione.
Nel complesso, una buona (ri)partenza per un quartetto meritevole di essere tenuto d'occhio, specie se seguirà la strada tracciata nei passaggi più energici di questo debutto.
07/02/2017