Rischia di passare un po' in sordina questo quarto album a titolo "Black Rainbows" dell'ormai quarantaquattrenne Brett Anderson. È di poche settimane fa, infatti, l'annuncio (a corollario del trionfale reunion-tour a cavallo tra 2010 e 2011) di un imminente ritorno in studio dei Suede in organico semi-completo (nei fatti mancherebbe il solo Bernard Butler) per la registrazione di materiale inedito, a nove anni da quel "A New Morning" che aveva sancito, nel 2002, la fine ingloriosa di uno dei marchi più rinomati e produttivi del rock inglese anni Novanta.
Prima di tornare sulle barricate con i vecchi commilitoni, Anderson sarà tuttavia impegnato nella promozione europea del suo nuovo lavoro solista, scritto e registrato (come già il precedente "Slow Attack") in combutta con il fidato compositore e arrangiatore Leo Abrahams.
Anderson decide così di accantonare il decoro vittoriano (a tratti eccessivamente polveroso) e i sontuosi intarsi cameristici che avevano condotto la sua ricerca lungo una china via via sempre più colta, per riconciliarsi con un suono rock aperto e caloroso. Tornano dunque a brillare le chitarre elettriche (sempre in dialogo rapsodico con le predilette orchestrazioni) e il supporto di una band vera e propria conferisce all'assieme una maggiore quadratura ritmica e contorni più decisi (si ascolti "Actors"). I risultati sono nel complesso buoni, anche se mai particolarmente fulminanti: piace il fervore romantico del singolo "Brittle Heart" o la grazia di "In The House Of Numbers", "This Is Must Be Where It Ends" e "Crash About To Happen", composizioni disegnate su melodie dolci ed eleganti; convincono invece un po' meno le situazioni in cui a prevalere è un'intonazione troppo solenne ed enfatica ("I Count The Times", il plumbeo glam senz'anima di "Thin Men Dancing" o l'annacquata "Possession").
Al di là dei giudizi di valore, "Black Rainbows" rimane tuttavia un documento credibile della buona salute compositiva di Brett Anderson, testimoniata anche dall'ottima prestazione vocale del nostro. Un lavoro che lascia insomma ben sperare per il prossimo futuro. Un pezzo come "The Exiles" potrebbe del resto rappresentare un'indicazione significativa rispetto a ciò che il ritorno della band maggiore probabilmente riserverà nei mesi a venire. Detto questo, Anderson si conferma spirito raffinato e prezioso, autore e performer che respira amore, musica e poesia e all'incrocio costante di queste opposte tensioni trova il suo squisito equilibrio ideale.
06/10/2011