Presentato come una controparte, forse un allegato al precedente e vicinissimo "Singing Saw", che è dell'anno scorso, "City Music" è in realtà un disco diverso, e in questo dà il suo meglio e il suo peggio. Intanto per la dichiarata veste understated delle sue canzoni, più preoccupate di mostrare il loro lato più evanescente, improntato a un lirismo contemplativo di un urbanesimo nel quale si annidano sempre storie da raccontare, e forse anche per questo non del tutto necessarie.
Il suo essere intrinsecamente "non necessario" è ciò che rende "City Music" fonte di godimento disattento quanto di irritazione, come nel carattere jammato della title track, che suona come i Grizzly Bear che scoprono il southern-rock. Le ossessioni di Morby per Dylan e, soprattutto, Reed ("Pearly Gates") rimangono, ma sono proprio loro a confessare il carattere disimpegnato e passeggero di questo lavoro, con la loro scrittura sciattamente atmosferica e velleitariamente letteraria (l'Americana sognante di "Come To Me Now").
La stessa sciatteria che si ritrova negli arrangiamenti, perlopiù banali quando non platealmente derivativi (gli Arcade Fire di "Crybaby"), ma del tutto perdonabile se si considera questo "City Music" non più di come è stato presentato, un compendio un po' poser di un album ben più riuscito e fortunato.
14/06/2017