Pochi anni fa, quando il giovane compositore statunitense Michael Vincent Waller presentava i suoi lavori con dischi autoprodotti intitolati "Five Easy Pieces" e "Seven Easy Pieces", più che un omaggio al classico della New Hollywood o alle lezioni di fisica di Feynman stava esplicitando una dichiarazione d'intenti che ancora oggi, in un certo senso, caratterizza ogni singolo suo brano.
Di norma un musicista si offenderebbe sentendo parlare del proprio operato in termini come "semplice" o addirittura "facile". Per Waller questo sembra essere invece il fine ultimo, sviluppando una rivisitazione del proto-impressionismo di Erik Satie aggiornata agli stilemi dell'attuale corrente neoclassica.
Certo, tra i suoi mentori ci sono state due figure di prim'ordine come La Monte Young e Bunita Marcus, a sua volta pupilla di Morton Feldman che la omaggiò in uno dei suoi ultimi, lunghissimi brani per pianoforte. Ma se conseguentemente l'estetica di Waller si profila come "minimalista", ciò non va inteso nel senso storicizzato del termine, bensì con la ricerca di uno stile minimo: all'apparenza, la natura essenzialmente melodica dei suoi brani non tenta nemmeno di suscitare stupore, evitando con cura l'effetto-sorpresa così come qualunque accenno di virtuosismo.
Dopo il debutto ufficiale con il doppio cd "The South Shore", uscito per l'etichetta XI di Phill Niblock (che qui firma l'artwork fotografico), il debutto su Recital del cameristico "Trajectories" conferma un'indole musicale trasparente, la cui limpidezza seduce per effetto di un canto che si dipana in volute dalle forme regolari e spontanee. È come se ogni volta l'autore tratteggiasse un bozzetto esile ma preciso e procedesse poi a rifinirlo con infaticabile perizia, aggiungendo con gesto sicuro minuscoli dettagli e sottili ombreggiature.
Questa, su tutte, l'impressione della malinconica "by itself", breve reminiscenza che apre la strada agli otto luminosi movimenti di "Visages": scritti in tempi e circostanze differenti, essi non soltanto rappresentano i vari "volti" che uno stesso autore può assumere in base all'ispirazione di un momento, ma nell'insieme appaiono come studi per altrettante sfumature di uno stesso antiquato sentimento. Con immediatezza grafica, invece, "Dream Cadenza" fa pensare a "In A Landscape" di Cage adattata per gli ultimi avventori di un bar notturno.
La sonata tripartita "Breathing Trajectories" sviluppa un crescendo emotivo muovendo da un'ermetica sospensione feldmaniana (I) verso un lirismo che unisce il Philip Glass più romantico alle meditazioni invernali di Nils Frahm (III), gettando così un ponte tra la sensibilità del tardo Novecento americano e quella dei rampanti autori/performer contemporanei.
Ma è nella sonata per piano e violoncello "Lines" che compaiono insieme per la prima volta i due gli interpreti del disco, rispettivamente gli impeccabili R. Andrew Lee e Seth Parker Woods, rapiti in un ideale pas de deux in punta di piedi. Torneranno poi per il breve trittico finale: una fantasiosa ode alla pigrizia, nella sua accezione nobile di stato d'animo atto a godere di una quiete momentanea e a favorire il pensiero libero (oggi si parla di "ozio creativo" persino a livello scientifico).
Prossimo al compimento dei trentadue anni, Michael Vincent Waller è già una voce che promette di farsi riconoscere e apprezzare da quel pubblico che sta dando il ricambio generazionale agli habitué da auditorium classico, grazie a un gusto raffinato ma non didascalico che evita i luoghi comuni da colonna sonora che spesso affliggono gli stilemi modern classical.
11/09/2017