L'esangue analisi della situazione contingente americana, così come le non troppo criptiche invettive contro il Presidente, sono solo alcuni dei temi portanti della mai meno che profonda e impegnata scrittura di Joe Casey, uno di quelli con il carisma di chi ha sempre qualcosa di interessante e pungente da dire. Casey è depositario di un ruolo centralissimo all'interno del progetto Protomartyr: grazie al tono di voce baritonale, rende ancora più inevitabili accostamenti importanti come Fall, Joy Division, Birthday Party e primi Interpol, tutti magistralmente richiamati nella personalissima visione electric-funk concretizzata nei tre minuti scarsi di "Here Is The Thing".
È materia pericolosa quella contenuta nel quarto lavoro del quartetto di Detroit, sempre pronta a infiammarsi ("Male Plague") o a lanciarsi in scarti improvvisi ("My Children"), densa tanto di piogge elettriche ("Caitriona", con le chitarre che incrociano il noise dei Sonic Youth con il buio dei primi Cure) quanto di drammaticità ("Up The Tower") e di corde psichedeliche che prima formano e poi lasciano esplodere muri sonici ("Windsor Hum"). Ma sotto la coltre di macerie e assalti all'arma bianca non di rado si scorge, vivida e possente, la melodia, come accade in "The Chuckler" e "Don't Go To Anacita".
I Protomartyr firmano così il proprio manifesto: un disco nervoso e compatto, il loro migliore fin qui realizzato, che si toglie persino lo sfizio di giocare con le parole su celebri e intoccabili titoli zappiani ("Corpses In Regalia"). "Relatives In Descent", assieme ai nuovi album di Idles e Metz, forma un trittico di rara potenza ed efficacia, che in queste settimane ha dimostrato di saper ravvivare il sacro fuoco dell'alternative-rock più verace e intransigente: alla faccia di chi continua a ritenerlo obsoleto e retromane, senza più nulla da dire o mostrare.
(11/10/2017)