Casomai qualcuno là fuori si fosse perso qualche passaggio, il bollino di Rough Trade stampato su questo nono lavoro in studio degli Sleaford Mods serve soprattutto a ricordare che il duo di Nottingham è passato, in un lasso di tempo invero piuttosto breve, dallo status di culto locale a peso massimo della scena musicale britannica. E, sempre per fare un po' di ordine, giova ricordare che "Spanish Tapas" non è che l'ultimo atto di un'attività che nell'ultimo triennio si è fatta a dir poco febbrile. Dal 2014 a oggi si contano tre Lp ("Divide And Exit" e "Key Markets" gli altri due), un album live, tre Ep. Quando si dice cavalcare l'hype, una parola che apparentemente sembra avere poco a che fare con gente come Jason Williamson e Andrew Fearn, due che hanno trovato il successo proprio quando avevano smesso di cercarlo.
La formula della strana coppia non si è spostata di una virgola rispetto alle prove precedenti, almeno a livello di stile e di proposta. Entrando nel merito della faccenda, però, non si possono non notare dei motivi di novità. Dapprima nel contrappunto sonoro che, seppur nei limiti imposti dalla formula, appare più diretto e lineare, andando così a occupare un ruolo un poco più centrale rispetto al passato. Questa prerogativa si palesava già lo scorso anno in "T.C.R.", il brano che dava il titolo all'omonimo Ep (e che si consiglia di recuperare), e torna qui in particolare nella prima parte del disco, quando l'urgenza post-punk di "Army Nights" e "Moptop" e il punk-funk di "Just Like We Do" vanno a formare un trittico di grande impatto.
D'altro canto, anche la materia lirica ha compiuto dei decisi passi in avanti, puntando il mirino verso obiettivi più stringenti: la vuota vanità dei colleghi che imperversano sui social network ("Just Like We Do"), la Brexit e "tutti quei vecchi che votano per la morte" ("Dull"), il senso di appartenenza a un mondo spazzato via da generazioni di "fat bastards" ("Carlton Touts"), il paragone tra la decadenza contemporanea e le catene di supermarket rispolverato in "B.H.S.", con il suo beat elettronico che strizza l'occhio alla techno.
Allo stesso tempo, è interessante notare come il rap abbia in un certo senso perso terreno all'interno del sound degli Sleaford Mods. Williamson prosegue nella sua strana traiettoria tra cantato e spoken word, prediligendo però un flow più disteso e cadenzato rispetto agli sproloqui della prima ora. Per carità, la già citata "Carlton Touts" e l'invettiva (nuovamente "social") di "Snout" rientrano a pieno titolo sotto questa dicitura, ma i due sembrano prediligere terreni meno impervi, siano essi rappresentati dai molleggiamenti reggae (!) di "Time Sands" o dal funk che torna a fare capolino in "I Feel So Wrong".
Certo, senza i testi sotto mano si perde buona parte del "piacere" di un ascolto che non ha alcuna intenzione di essere piacevole. Resta il fatto che gli Sleaford Mods sono la cosa più punk uscita da molti anni a questa parte dai bassifondi dell'Impero di Sua Maestà. Non è un caso che più e più volte, mentre si ascoltano le tracce di "English Tapas", venga alla mente il buon Johnny Rotten, sia quello della prima ora (per attitudine) che quello della seconda (per affinità stilistiche). Per il resto, Williamson e Fearn restano un'entità "altra" rispetto al panorama musicale tutto, che poi è esattamente la loro missione all'interno di questa ripetitiva galassia discografica.
03/04/2017