Non è un caso che l’album veda il ritorno tra i collaboratori di Ian Catt (Saint Etienne, Stars): “A Place In The Sun” è un disco che affida il suo fascino ai dettagli, alle rifiniture. Un’orchestra di trenta elementi e l’uso discreto e dinamico delle percussioni caratterizzano i nove brani. Ed è proprio nella title track che si manifesta in pieno la ritrovata vena del musicista norvegese, che varca i confini del chamber-pop con una melodia tra le più memorabili del suo repertorio. Il resto è come sempre amabile, soffice (“Don’t Call Me”), a tratti impertinente (il delizioso duetto con Maria Due in “The Best Thing”), leggermente più variegato (“Golden Days”), sempre baciato da un romanticismo sobrio e vellutato (“Pierre”).
“A Place In The Sun” tiene fede al titolo, mettendo insieme una serie di canzoni solari e finemente malinconiche, tra citazioni dei 10cc (“Sunless Summer”) e iniezioni d’ottimismo (“Architect”), sorrette da una scrittura compatta, solida. Per un attimo, il norvegese evoca perfino Paddy McAloon in “In You”, un brano sottolineato da un elaborato corpo strumentale, munito di caldi e avvolgenti arpeggi chitarristici, tastiere fluide, un appassionante interludio orchestrale sottolineato dall’armonica e una melodia che si insinua nella mente con intelligenza e grazia.
Il nuovo album di Dylan Mondegreen non è forse esente da cliché e richiami, ma la purezza cristallina e la genuina ricercatezza degli arrangiamenti offrono ancora una volta più di un motivo di apprezzamento. Un gradito ritorno.
(04/12/2018)