L'ascesa "commerciale" degli Idles da Bristol non si è però esaurita. A osservare i vari aggregatori di voti critici presenti sul web, pare che la maggior parte delle riviste del globo abbia deciso di salutare questo secondo Lp degli Idles come il loro album of the year. Quasi come se tutte queste testate volessero abbeverarsi alla fonte degli Idles per recuperare un po' della purezza perduta.
"Joy As An Act Of Resistance", joy, ma fino a un certo punto. Le chitarre rimangono affilate e arrugginite, nervose, pronte a sferrare fendenti velenosi ("Never Fight A Man With A Perm", "Rottweiler"). Lo spoken word borbottante e paranoico di Joe Talbot - che a tratti ricorda i mugugni in tonalità basse di Joe Casey dei Protomartyr - si evolve spesso in ritornelli con un discreto piglio melodico, ma la gioia pare abitare comunque lontana da queste cantilene malate e sgraziate, filastrocche strillate rivolgendo un ghigno demoniaco alla società ("Danny Nedelko", la divertentissima "Great"). Straziante e personale, "June" c'entra poco con il resto dell'album; pare infatti che non avrebbe dovuto farne parte. Adornata da un organetto luttuoso, è il saluto commovente di Joe Talbot alla sua bimba nata morta lo scorso giugno, per il quale fa proprie e cantilena le parole di Ernest Hemingway "Baby shoes for sale: never worn", alle quali aggiunge le altrettanto dolenti sue: "A stillborn was still born/ I am a father".
Disco dell'anno? Probabilmente no, ma certamente un lavoro di grande compattezza e qualità che colpisce dritto nel segno ciascuno dei suoi bersagli. Tra i quali figurano, ironia della sorte, anche i media che li stanno accogliendo adoranti.
(04/09/2018)