Manic Street Preachers

Resistance Is Futile

2018 (Columbia)
pop-rock

Ogni due o tre album, i Manic Street Preachers mettono in mostra il loro lato più squisitamente radiofonico, con canzoni pulitissime dal punto di vista melodico, vocale e sonoro, caratterizzate da un ampio uso di elementi orchestrali e arrangiamenti spaziosi e spesso magniloquenti. Questo loro tredicesimo disco in studio si inserisce in questo filone: prova ne sono la conquista del secondo posto nelle classifiche di vendita britanniche nella settimana di uscita e il tour che prevede diverse date in arene molto grandi e il ruolo di opening act per i Guns 'n' Roses, vecchi idoli della band, in Germania.

In realtà i due tentativi precedenti, ovvero “Send Away The Tigers” (2007) e “Postcards From A Young Man” (2010), avevano destato qualche perplessità e, almeno ad avviso di chi scrive, rappresentano i due titoli più deboli nella produzione del quartetto divenuto trio gallese. Invece, questo “Resistance Is Futile” è un perfetto esempio di come si possa cercare il consenso popolare senza rinunciare alla qualità. Le melodie sono impeccabili e la maggior parte di esse svela la propria forza non tanto al primo ascolto, ma sempre di più a ogni successivo passaggio. Il timbro vocale di James Dean Bradfield è avvolgente e carico di emotività nonostante rinunci al carattere tagliente che ha caratterizzato molte delle sue interpretazioni più convincenti; nei dischi citati sopra, il frontman canta nello stesso modo, ma dà quasi sempre l’impressione di farlo in modo poco sentito, e bisogna tornare indietro a “Lifeblood” (2004) per avere una serie di canzoni nelle quali la voce è tanto pulita quanto genuina emotivamente. Lo stesso si può dire del suono, molto curato, dinamico e, come detto, rinforzato spesso da elementi orchestrali e ambizioso per tutta la durata del disco, con i colori, le interazioni e le armonie giuste per risultare sincero e adrenalinico.

Le due canzoni migliori, quelle che colpiscono al primo ascolto anche dal punto di vista melodico e il cui effetto non diminuisce certo nel corso del tempo, sono “Dylan & Caitlin”, splendido duetto con una The Anchoress in gran forma, che narra della relazione complicata tra il poeta Dylan Thomas e sua moglie Caitlin, valorizzando il racconto con un intreccio continuo e micidiale tra archi e chitarre acustiche ed elettriche, e “Hold Me Like A Heaven”, che manifesta la necessità di stringersi agli affetti più cari nei momenti di particolare incertezza grazie a un suono languido e rotondo che rappresenta la resa perfetta di uno stato emotivo a metà tra smarrimento e voglia di non mollare.
Non c’è, comunque, una sola canzone debole nel disco, e si spazia tra l’imponenza marziale dell’iniziale “People Give In”, la perfetta alternanza tra riff di chitarra e di tastiera di “International Blue”, il suono più asciutto di una “Liverpool Revisited” che, a vent’anni di distanza da “S.Y.M.M.”, torna sulla tragedia avvenuta nello stadio di Shefflied nel 1989, quando 96 tifosi persero la vita per colpa della scellerata gestione del flusso di ingressi da parte delle forze dell’ordine, le chitarre per una volta più aggressive di “Broken Algorithms”, che si mescolano al carattere dominante del suono complessivo dell’album senza stonare e, anzi, aggiungendo un ulteriore spunto di interesse.

Come sempre, i testi sono molto importanti per i Manics e, dagli esempi appena fatti, si capisce che anche sotto questo aspetto è stato fatto un buon lavoro. “Resistance Is Futile” non arriva a varcare le soglie dell’Olimpo della band, ma è semplicemente il miglior disco tra tutti quelli nei quali Richey Edwards non ha scritto nemmeno una parola. Non è poco.

25/04/2018

Tracklist

  1. People Give In
  2. International Blue
  3. Distant Colours
  4. Vivian
  5. Dylan & Caitlin
  6. Liverpool Revisited
  7. Sequels of Forgotten Wars
  8. Hold Me Like a Heaven
  9. In Eternity
  10. Broken Algorithms
  11. A Song for the Sadness
  12. The Left Behind

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