Era solo questione di tempo: le ultime, scurissime derive espressioniste di Lawrence English lo hanno già visto lavorare al fianco di alcuni membri degli Swans e, nel progetto a sfondo lynchiano “Factory Photographs”, con Jamie Stewart degli Xiu Xiu. Il crescente interesse per le più dirompenti fenomenologie del suono giunge al suo probabile apice con l’arruolamento di Masami "Merzbow" Akita – già in duo con Stewart tre anni prima (“Merzxiu”, 2015) – per un concept astratto che, prevedibilmente, si presenta come un’esondazione drone-noise cruda e senza compromessi.
D’altra parte, nel corso di quasi quarant’anni di terrorismo sonoro, Merzbow non si è mai fatto problemi nell’imbastire un muro di suono che nasce e si sviluppa nel primo piano uditivo, come uno schermo sottile ma impenetrabile di ribollente e primigenia materia elettroacustica. Come in altri casi, la mescolanza con altri progetti è l’occasione migliore per tentare di rendere più duttile un’estetica così totalizzante, e in tal senso l’apporto del binomio HEXA consiste proprio nell’attribuire maggiore profondità e concretezza agli input informi di Akita.
Non vi è molto altro da dire, in termini pratici, su ciò che si ascolterà in “Achromatic”, che con la neutralità del non-colore riafferma ancora una volta l’indifferenza del famigerato japanoiser alla collocazione semantica dei suoi lavori, pur gettando un ponte verso le avanguardie pittoriche del Novecento americano ed europeo.
Due suite per due lati di Lp in cui ogni fazione prende vicendevolmente in carico la produzione e il missaggio dell’altra. “Merzhex” si articola in quattro movimenti ininterrotti: un’opprimente pulsazione distorta spinge e si ramifica in ogni direzione, come scavando un cunicolo sotterraneo pronto a inghiottire ciò che lo circonda; furia che si placa momentaneamente nella ventosa e funerea distesa del secondo tratto, dalle cui viscere non cessano tuttavia di affiorare esalazioni sinistre e abrasive, prima che un clangore cadenzato annunci il riaffondo nell'orrorifico sòstrato.
Sono le increspature nel viscoso flusso di rumore e altri elementi para-ritmici – sirene d’allarme e altri residui di memoria industriale – a renderci coscienti di uno scorrimento temporale disagevole, nel mezzo del quale soltanto la concentrazione sul mero sviluppo esteriore del suono può distoglierci dal senso di claustrofobia e di morboso rimestare in uno scenario indesiderabile.
Al confronto i diciassette minuti di “Hexamer”, in cui l’impronta di English e Stewart è da subito più evidente, seguono uno sviluppo regolare e dall’impatto meno brutale, assumendo i tratti di una lenta panoramica lungo i reparti di una fabbrica tutt'altro che illuminata, cassa di risonanza per l'inesausta automazione dei macchinari. Presse, fresatrici, pistoni e seghe circolari si disegnano in maniera caotica andando a formare una coralità disumanizzata che avvera nuovamente la profezia futurista, ma dove pure si affastellano man mano le redivive frequenze digitali di Akita, emblema assoluto dell’utopia post-musicale.
Non sorprende che la pressoché perfetta concordanza d’intenti fra i tre sound artist renda “Achromatic” un’esperienza d’ascolto il cui potenziale immaginifico supera di gran lunga quello dei tipici tour de force a nome Merzbow, marchio di fabbrica tanto iconico quanto “temuto” nella sua intransigente ostinazione alla più cieca furia rumorista. Lo spessore e l’effetto prospettico forniti da HEXA sono l’anima – per quanto scura – di una pratica noise che poche volte (e in tempi ormai lontani) si è manifestata con esiti altrettanto galvanizzanti.
03/08/2018