Non è facile continuare a frequentare un ristorante che propone sempre la stessa ricetta. Per quanto buona, la sua specialità tenderà a essere abbandonata nel tempo, sia per noia, sia per sospetto che dietro la scelta del cuoco si nasconda pura e semplice indolenza.
Nel caso di Liam Howlett, la ricetta è sul menu da una ventina d'anni almeno.
Tolti i fasti del decennio nel quale la band di Braintree ha portato in classifica la cultura rave grazie a una elettrizzante miscela di riff techno, chitarre punk, campionamenti hip-hop e vocals isterici della coppia Keith Flint/Maxim, quello che emerge dai successivi lavori è proprio il tentativo di cristallizzare le sonorità della casa per consegnarle alla posterità.
Più che normale, si dirà, Howlett ha tutto il diritto di fare quello che vuole della sua creatura, incluso lasciare che viva di autocitazionismo.
Qui però non si tratta solo di attingere da gioielli di famiglia che, per quanto sorpassati stilisticamente, riescono ancora a essere emblema di una piccola sacca di resistenza underground.
Uscito dopo il passaggio a Bmg (e la precedente decisione di Howlett di non voler più pubblicare materiale in formato album, subito ritrattata), "No Tourists" apre le danze con l'esempio classico di una ormai consolidata deriva ("Need Some1") nella quale convivono prevedibilmente tutti gli ingredienti di un piatto già assaggiato cento volte. Non che uno si aspettasse un improvviso cambio di rotta, ma è piuttosto normale ricordare quanto i Prodigy riuscissero negli anni Novanta a tenere tutti sulla griglia di un connubio suono/immagine davvero minaccioso e schizofrenico, mentre ora sembrano più adatti alla colonna sonora di un videogame. L'adrenalina è assicurata, ma la sequenza di beat rigonfi occupa tanto spazio sul disco quanto la relativa carenza di idee interessanti.
Al massimo, si può riconoscere stavolta a Howlett e soci lo sforzo di rendere qua e là meno trionfalmente muscolare la loro proposta, in virtù dell'aumentato catalogo di trucchetti presi in prestito da "Experience" e "Music For The Jilted Generation" che riesce a plasmare un corpus omogeneo dal quale emergono positivamente "We Live Forever", "Timebomb Zone" e la title track.
Ma è decisamente poco per lasciare un segno in mezzo a episodi macchiettistici come la collaborazione con Ho99o9 in "Fight Fire With Fire" (titolo preso in prestito dai
Metallica) o il
drum and bass telefonato di "Champions Of London" e "Boom Boom Tap", al confronto dei quali un brano come "Omen" (dal ben più riuscito "Invaders Must Die", del 2009) resta un momento illuminato.
Non c'è spazio per i turisti nell'ultimo disco dei Prodigy, e di sicuro neanche per il vento che servirebbe a traghettare il progetto fuori dalle secche di un compiaciuto stereotipo.
24/11/2018