Da che si sono riuniti nel 2015 i Ride non si sono fermati un attimo. Un lunghissimo e trionfale reunion tour, un altro splendido per celebrare i venticinque anni di quel mastodonte shoegaze intitolato “Nowhere” e infine, lo scorso anno, l’atteso ritorno anche discografico con un lavoro destinato a dividere. Ma del resto Mark Gardener lo aveva detto: se i Ride fossero tornati a scrivere musica non sarebbe stato per suonare come fosse il 1991. Da qui la scelta di un produttore lontano dallo shoegaze come Erol Alkan - Franz Ferdinand, Klaxons, Late Of The Pier, ma soprattutto tantissima electro - che avrebbe esaudito il desiderio degli oxfordiani di suonare attuali e di utilizzare molta più elettronica che in passato.
Dal punto di vista degli obiettivi prefissati, “Weather Diaries” è un disco riuscito, che, lenendo il rumore che infestava la primissima produzione dei Ride e calcando la mano su tastiere e manopole, ha dato alla band un suono nuovo. Risultando però un po’ carente in quanto a pezzi memorabili, ne vengono in mente infatti soltanto un paio: “Cali” e “Lannoy Point”.
Gli intenti dei rinnovati Ride emergono da questo Ep ancora più chiaramente. Dopo pochissimi secondi “Pulsar” sfodera un synth al nandrolone che fa subito venire in mente gli MGMT e – perché no – gli M83. Sonorità più vicine al passato della band arriveranno soltanto sul finale del pezzo, che disegna l’iperspazio con chitarre laser. Probabilmente il miglior brano dei Ride post-reunion. “Keep It Surreal” aggiorna invece i jangle di “Twisterella” agli anni 10 e presenta parti cantate nitide e terrestri, in una maniera mai vista prima nel catalogo di Bell e Gardener. Molto suggestiva anche la combinazione tra le parti acustiche e quelle siderali giocata nell’avvolgente suite pinkfloydiana “Cold Water People”.
Posta in chiusura, “Catch You Dreaming” è insieme il brano più lungo e più pop del lotto, che muovendosi sinuoso e ammaliante al ritmo di un burroso basso 80’s arriva dalle parti degli ultimi Tame Impala.
Non sempre completamente a fuoco – invero i sei minuti e oltre della closing-track stancano un po’ - “Tomorrow’s Shore” mostra con ancor più forza del full-length che lo ha preceduto la volontà dei Ride di rinnovarsi. Il fatto che questi brani, pur essendo stati registrati insieme a quelli di “Weather Diaries”, non abbiano trovato collocazione in esso - favorendo l’inserimento di altri più vicini alla tradizione shoegaze della band - lascia pensare che lo scorso anno i quattro non si sentissero ancora pronti per spiazzare completamente gli adepti della prima ora. Bene, ora a quanto pare lo sono, e la cosa rende il loro futuro molto interessante.
10/03/2018