Quando sembrava ormai che si fossero quasi perse le tracce di quello che può essere considerato uno degli artisti italiani più dotati e innovativi degli ultimi anni, è finalmente approdato sui nostri lettori (cd o digitali, fate voi) il suo nuovo lavoro.
Stiamo parlando di “Voices”, nuova fatica di Rodolfo Montuoro, cantautore del quale OndaRock si è occupata a più riprese in passato. Ebbene sì, sono trascorsi ben sette anni dal precedente album “Nacht”, un intervallo di tempo così esteso da rappresentare agli occhi di molti un azzardo quasi suicida, ma solo se visto applicando le regole ormai stantie della discografia commerciale, un ambito dal quale Montuoro prende volontariamente – e saggiamente, aggiungiamo – le distanze.
“Voices” si offre all’ascoltatore come un lavoro ancora più coraggioso, se possibile, dei precedenti. La sperimentazione è divenuta infatti la dimensione preferita dall’artista, che stupisce e sgomenta, in senso positivo, già dalla prima traccia, “Fall City (Elegia)”. Il brano ha per protagonista l’evocativa voce di Roberto Pedicini, su uno sfondo sonoro elettronico che crea sconcerto e fascinazione. Nel secondo brano, “Africa (La Rosa nera)” si comprende anche più compiutamente la direzione che ha intrapreso Montuoro: il cantato passa volutamente in secondo piano rispetto alla musica, che s’impadronisce della scena sonora con forza. E tuttavia non va sottovalutato il testo, che affronta il tema di scottante attualità del diverso, del “barbaro” come lo intendevano i greci e i latini.
In “Samael” troviamo riferimenti alti, tipici della poetica di Montuoro: Samael è l’angelo caduto per eccellenza, ma forse proprio questa sua caduta lo rende più prossimo a noi di quanto si possa pensare. Colpisce, anzi turba profondamente l’ascoltatore, il refrain “Non vivo, non vivo”: che sia la “non vita” l’ultima, sia pure estrema, forma di libertà in questi nostri giorni laceranti e invivibili?
“Noop” è un brano di grande atmosfera, anche questo contrassegnato da un testo importante. Notevole la chitarra, drammatica e graffiante, del veterano Giuseppe Scarpato, collaboratore storico, tra gli altri, di Edoardo Bennato, e abituale compagno d’avventura anche di Montuoro. Ma è ascoltando “Occidente” che si ha ulteriore conferma che l’artista di “Voices” si sia definitivamente affrancato dagli ultimi, per lui certamente troppo opprimenti lacci delle regole commerciali dell’ormai agonizzante industria discografica tradizionale.
E, se è vero che siamo di fronte a un album di grande spessore musicale e improntato a un disegno complessivo che mira a evidenziare la forza della pura phonè in dialettico contrasto con la forza non meno travolgente della musica, è anche vero che all’ascoltatore è richiesto uno sforzo – intendiamoci, piacevole – per entrare in sintonia col mondo interiore dell’artista. Ma ne vale la pena, credeteci.
In tal senso gli altri brani dell’album sono tutti da ascoltare e riascoltare più volte: suoni e arrangiamenti sono di altissimo livello, spesso più aggressivi che in passato. Dal progressive di alcuni suoi lavori precedenti, Montuoro approda con “Voices” a un rock più graffiante e potente, screziato da strati d’elettronica a tratti anche molto presenti, ma mai fine a sé stessi. L’amalgama musicale ottenuto, al quale non rimane comunque estranea la melodia, si coniuga infatti bene con il suono della voce pura. Pura come l’arte coraggiosa e raffinata di Montuoro. E dunque, bentornato, Rodolfo.
16/08/2018