Ennesima prova di autarchia creativa, “Dungeness” è il settimo album in studio degli scozzesi Trembling Bells - autentici outsider della scena folk, nonché abili narratori di archetipi culturali radicati prepotentemente nella tradizione. Alex Neilson, Lavinia Blackwell, Mike Hasting, Simon Shaw (ex-Lucky Luke) e Alasdair C. Mitchell sono i membri dell’attuale nucleo della formazione, intorno al quale gravitano amici e ospiti occasionali, che di fatto hanno trasformato la band nel più articolato e ricco ensemble folk della scena contemporanea. Spesso accusati di indugiare in una visione creativa oramai desueta e anacronistica, i Trembling Bells non hanno nulla in comune con il fenomeno del folk revival, né mostrano interesse per quella semplificazione che, infarcita di filosofie post-moderne, spaccia l’approssimazione neo-folk per nuove forme d’arte.
Avevamo già preannunciato che il misticismo malinconico di “Wide Majestic Aire”, preludeva a un susseguente ritorno alle più rivoluzionarie attitudini degli esordi, ma quello che “Dungeness” offre è una delle pagine più corrosive e seducenti della carriera del gruppo. L’incastro tra acid-folk, jazz-rock,
kraut, psichedelia e
prog, sperimentato felicemente in “The Sovereign Self”, torna a essere protagonista, questa volta però tutto suona più diretto, più viscerale, vibrante. Progressioni armoniche complesse, accordi ardimentosi, sonorità discordanti affidate a strumenti acustici apparentemente innocui,
riff avvolgenti, ritmi a volte disordinati, liriche ossessive e un’inattesa sferzata rock, affidata a sonorità chitarristiche taglienti, fanno di “Dungeness” l’album più incisivo del gruppo scozzese.
Hanno imparato ad alzare la voce, i Trembling Bells, ma lo hanno fatto secondo le proprie regole, ovvero senza rinunciare né alla verbosità lirica frutto della passione di Alex Neilson per
Bob Dylan, né alle bizzarrie freak-folk che hanno sempre tenuto lontano il grande pubblico. Non andate in cerca di paesaggi incantati, di sonorità concilianti e bucoliche, sono sesso e morte i veri protagonisti di queste dieci stravaganti ballate. E’ alfine un viaggio in territori oscuri e selvaggi, quello che la band compie a suon di innovative creazioni folk-doom, il cui fascino attirerà più i fan di
Chelsea Wolfe o
Richard Dawson che i seguaci di
Laura Marling o
Julie Byrne.
Trasfigurazione e scarnificazione: questo è il linguaggio con il quale i Trembling Bells approcciano le molteplici sfumature di “Dungeness”, tra reminescenze
progressive (“Rebecca, Dressed As A Waterfall”), sanguinanti fluidi gothic (“Devil In Dungeness”), slanci heavy-metal (“The Prophet”), folk apocalittici dai tratti psichedelici (“Knockin' On The Coffin”) e licenziose ballate popolari su sesso e religione orchestrate alla maniera dei
Fairport Convention (“I'm Coming”). La voce, quasi da mezzo soprano, di Lavinia Blackwall continua a sorprendere per potenza e versatilità, sottolineando prima con selvaggio ardore le taglienti commistioni di acid-folk e ritmi ossessivi di “Death Knocked At My Door”, poi con poetica profondità le più tipiche trame folk-rock di “Christ's Entry Into Govan”.
Lo scarso riscontro di pubblico non ha intaccato la qualità della produzione della band scozzese, il folk dissoluto e a tratti criptico dei Trembling Bells è costantemente baciato dall’ispirazione. Non è un caso che la band abbia collaborato con personaggi dall’ascetico profilo artistico (
Will Oldham, Mike Heron e Shirley Collins). Questo però è solo uno degli aspetti che dovrebbe stimolare la vostra attenzione: l’altro, il più importante, risiede nella viscerale bellezza dell’album liricamente più oscuro e musicalmente più giocoso della band scozzese.
20/04/2018