“Ecstatic Arrow” giunge dopo tre album e tre anni dediti a sonorità più sperimentali e a interessanti collaborazioni, che hanno lasciato fluire l’immaginazione verso forme sonore più complesse e articolate ("Tomorrow's Gift"), convergendo sempre verso quel formato-canzone posto al centro della progettualità del duo. Il proposito del quarto disco è quello di mettere a frutto le interessanti esperienze passate, per un album che catturi ancora una volta la genialità e l’eclettismo del miglior pop, con un suono estroverso e a volte onirico che, pur cedendo al fascino della contaminazione, non sia alterato nella sua essenza. E’ come se i Virginia Wing facessero filtrare un po’ di luce in più in quel mix di synth-pop, psych-pop ed estatica glacialità che ha caratterizzato il percorso stilistico del gruppo.
Il risultato è oltremodo stuzzicante, le dichiarate influenze di Madonna, Holger Czukay e Talking Heads sono piacevolmente evidenti, anche i richiami agli Stereolab e ai Broadcast (soprattutto per le assonanze vocali di Alice Merida Richards con Laetitia Sadier e Trish Keenan) restano in prima linea, mentre la combinazione di poliritmi e synth ricorda i Magazine. A tutto questo si aggiunge un profumo d’Oriente, che mette nel canzoniere del duo alcune suggestioni della Yellow Magic Orchestra. E’ un album ricco di preziose perle, “Ecstatic Arrow”, gioiellini di sintesi che esaltano il linguaggio-canzone, come la sfuggente “A Sister”: un delizioso uptempo incastonato alla perfezione tra un introduzione quasi new age e un finale spiritual-jazz.
Ancor più avvincente l’ipnotico groove japan-funky-pop di “The Second Shift” che, graziato dal languido sax di Christopher Duffin dei Xam Duo, supera gli argini elettronici entrando in meandri psichedelici. Un brano che trova il perfetto contraltare nelle atmosfere gentili e lievemente dissonanti di “For Every Window There’s A Curtain” e nel mood quasi caraibico del lounge-pop alla Stereolab di “Eight Hours Don’t Make A Day”.
Avendo già citato la Yellow Magic Orchestra non posso non sottolineare la curiosa assonanza tra l’introduttiva “Be Released” e la famosa “Pure Jam” della band nipponica (inclusa in “Technodelic”); anche il frenetico ritmo di “Glorious Idea” sembra scivolare sulle stesse coordinate, confermando l’attenzione del duo a quell’esaltazione del linguaggio popolare che caratterizzò gli anni 80.
Allo stesso modo i Virginia Wing caratterizzano ogni brano con soluzioni strumentali che rendono il tutto rimarchevole e mai superfluo, tra minimalismi simil-jazz (“Relativity”), liriche ambiziose (“The Female Genius”) e pregevoli ibridazioni tra pop e poesia/recitato che spostano l’asse verso soluzioni ritmiche più articolate (“Pale Burnt Lake”).
La formula messa a punto per il nuovo album concretizza anni di tentativi di connettere utopia e stati emozionali, lasciando nell’ascoltatore una sensazione di cauto ottimismo, che oltre a essere avvincente suona anche sincera e consapevole. Volendo citare il postulato iniziale possiamo affermare con serenità e convinzione: “It’only pop music but I like it”.
(29/06/2018)