Sei lì, costretto tra le quattro mura, indeciso, impreparato, eppure ti senti coraggioso, anche temerario, ma stai solo fingendo e prendi tempo, e nel mentre fai girare le idee, che non abboccano, sfilacciate, restie, forse spaventate. Ti alzi, respiri, sorseggi dell’alcol, ti penti, gironzoli e poi riprovi. E si è fatto tardi, quanto ci metterai a escogitare il piano decisivo? Ce la farai? Hai creduto che fosse giunto il momento, quello topico, decisivo, ma poi hai rimandato, ha tergiversato, hai pensato che sì, domani sarà un altro giorno. Io sono libero, è quello il segreto del successo, l’ingrediente essenziale hai pensato, l’hai anche riferito a un vicino, ai quattro venti, nessuno ha risposto, posso fare quello che voglio hai ripetuto, deciderò io come la storia potrà e dovrà andare avanti.
A mani in tasca, nel buio noir della notte, con i gatti che fuggono, con Miles che soffia e sale sull’ascensore che porta al patibolo. Te la godi l’atmosfera sinuosa, sensuale, la credi anche peccaminosa, il sorriso costruito in anni di specchi che fa capolino, ma è un attimo, perché poi tornano i dubbi, Lei ha deciso altrimenti, senza neanche considerati parte in causa, e aumenti il passo, e il ritmo si fa concitato e ti senti una vittima, offeso dagli eventi, dallo scorrere del tempo, dalle circostanze, da un’incomunicabilità che non hai deciso, che hai cercato di combattere, invano, ti voglio, non ti voglio, sì, no, forse, e cominci a urlare, fai i conti con la realtà e le bugie, con la mancanza.
A mani in tasca, nel buio noir della notte, con i gatti che fuggono, con Miles che soffia e sale sull’ascensore che porta al patibolo. Te la godi l’atmosfera sinuosa, sensuale, la credi anche peccaminosa, il sorriso costruito in anni di specchi che fa capolino, ma è un attimo, perché poi tornano i dubbi, Lei ha deciso altrimenti, senza neanche considerati parte in causa, e aumenti il passo, e il ritmo si fa concitato e ti senti una vittima, offeso dagli eventi, dallo scorrere del tempo, dalle circostanze, da un’incomunicabilità che non hai deciso, che hai cercato di combattere, invano, ti voglio, non ti voglio, sì, no, forse, e cominci a urlare, fai i conti con la realtà e le bugie, con la mancanza.
Non risponde, mai più, anche perché sono giorni, settimane, mesi che tu non ti fai vivo, un cortocircuito emozionale, chi ha iniziato? E le luci sono spente, il percorso è sonnambulico, subdolo, poco chiaro, ed è un attimo perdere la strada, smarrire la via, invadere la corsia. Ti ha fregato, sorpassato, battuto al tuo gioco, è Lei l’eroe, la spia che viene da lontano, che non deve chiedere mai, così sixties, lounge chic, misteriosa, sensuale e cattiva, Lei che ingarbuglia i piani, li risolve poi si porta a casa tutto. E tu nulla. È Lei quella libera. E tu sei stanco.
E arriva il momento dei chiarimenti, delle scuse, ho sbagliato, ma non ci credi, ma provi il tranello, l’escamotage, la scintilla risolutiva, la strategia del Borsalino, il trucco alla James Bond, ma Lei ti ha preceduto, e allora perdi la testa, diventi isterico, alzi la voce, insulti, straparli, te ne accorgi ma non ti fermi, non fai propriamente una bella figura, se ne accorge persino qualche passante. Te ne torni a casa e riparti con il soliloquio, il fumo che invade la stanza, immagini vacue e di finto romanticismo, "I Should Care" si chiedeva Chet Baker, ma non c’era bisogno di una risposta, Gil Evans che racconta i dolori di Pablo, tra passi felini, sornioni e cambi di ritmo talmente rapidi da non apparire tali, Sinatra, il crooning che rassicura, che culla, che rinvigorisce, che esplora, ma che non sorriderà mai più.
Rimpolpi le pagine del tuo diario, geometricamente vacue, ragioni sull’essenza umana, ti assopisci piano e senza voglia, hai scelto un sottofondo ambient che pensavi rilassante, ma hai sbagliato e ti sembra di vedere James Cann che fugge accompagnato da una versione spenta dei Tangerine Dream. C’è un iguana alla finestra, è l’alba, Gone to earth. Buongiorno. L’ennesimo.
Una recensione
Iggy che spiazza, il rocker che si ritrae dopo aver fatto assaporare il famigerato "frutto proibito" del rock, scritto in maniera appropriata, prodotto in formato deluxe, accattivante, galvanizzante, pop. Iggy che vira, ma non dovrebbe essere una sorpresa, l'ennesimo cambio di faccia di una maschera infinita, art fino al midollo. Ma è come se stavolta la storia fosse propensa verso un punto finale, non già un testamento, quanto un ripensamento in formato di riassunto. Non a caso "Free" ha una struttura ciclica, si apre quieto e si chiude mesto, ma nel frattempo passa in serie tutti o quasi i tragitti percorsi in 50 anni di carriera: dal tempo medio che cresce fino all'urlo disperato ("Love Missing"), dal decandentismo speziato ("Sonali"), all'aggressione quasi caricaturale, ricca di insulti indicibili ("Dirty Sanchez"), dalle discoteche vintage e ironicamente piacione ("James Bond") alle psicosi post-punk ("Glow In The Dark"). Ma a prevalere alla fine è il suo baritono basso, al tempo stesso sicuro e disperato, rotondo e gratificante, anche in sottofondo, trionfante nell'ultima parte, raccontata come in una confessione-richiesta di perdono. Lo sostengono la tromba evocativa di Leron Thomas e la chitarra meditativa, ma anche rasoiante, di Noveller.
Una recensione
Iggy che spiazza, il rocker che si ritrae dopo aver fatto assaporare il famigerato "frutto proibito" del rock, scritto in maniera appropriata, prodotto in formato deluxe, accattivante, galvanizzante, pop. Iggy che vira, ma non dovrebbe essere una sorpresa, l'ennesimo cambio di faccia di una maschera infinita, art fino al midollo. Ma è come se stavolta la storia fosse propensa verso un punto finale, non già un testamento, quanto un ripensamento in formato di riassunto. Non a caso "Free" ha una struttura ciclica, si apre quieto e si chiude mesto, ma nel frattempo passa in serie tutti o quasi i tragitti percorsi in 50 anni di carriera: dal tempo medio che cresce fino all'urlo disperato ("Love Missing"), dal decandentismo speziato ("Sonali"), all'aggressione quasi caricaturale, ricca di insulti indicibili ("Dirty Sanchez"), dalle discoteche vintage e ironicamente piacione ("James Bond") alle psicosi post-punk ("Glow In The Dark"). Ma a prevalere alla fine è il suo baritono basso, al tempo stesso sicuro e disperato, rotondo e gratificante, anche in sottofondo, trionfante nell'ultima parte, raccontata come in una confessione-richiesta di perdono. Lo sostengono la tromba evocativa di Leron Thomas e la chitarra meditativa, ma anche rasoiante, di Noveller.
(19/09/2019)