C'è futuro oltre al grime in quel di Albione? Può la pur vitale scena urban britannica incanalarsi in alvei diversi rispetto a quelli che hanno dominato incontrastati l'ultimo quinquennio? Little Simz (all'anagrafe Simbiatu “Simbi” Ajikawo), alla volta del suo terzo album in carriera, fornisce senza mezzi termini l'ovvia risposta, in quello che è senza alcun dubbio il disco della ribalta per la giovane e lanciatissima rapper londinese, nonché uno dei momenti-cardine per il rap anglofono dell'anno in corso.
Messa a fuoco la dispersività tematica e lirica di “Stillness In Wonderland”, con “Grey Area” l'Mc e attrice di origini nigeriane firma un prodotto di fulminante intensità e spigliato eclettismo, una riflessione multiforme sulla confusione dei propri vent'anni e sulla lucidità che consegue il superamento di tale spaesamento, con tutto lo stress e le difficoltà che il processo comporta. Potrà anch'essere una fascia grigia, quella immortalata da Simz, ma a ben guardare il suo percorso non potrebbe risultare più colorato.
Col fido Inflo, amico di una vita intera, a congegnare per lei un intero corredo di basi e tappeti sonori su cui posizionare un flow tra i più incendiari e precisi in circolazione, Ajikawo mette perfettamente in chiaro la sua grintosa maturazione espressiva, donando tutto il lustro possibile al fastoso e variegato apparato musicale di base, in un continuo interscambio tra voci e suono che esalta l'intera operazione.
Lo sfaccettato universo lirico di Little Simz prende quindi forma in un'eccezionale varietà di linguaggi, che rifugge i contatti con le consuetudini grime a favore di un paradigma stilistico diverso, il più delle volte affidato a basi e a tratteggi ritmici effettivamente suonati, in netta antitesi al classico susseguirsi di campionamenti privi di baricentro.
È così che il dinamismo della voce diventa il collante a cui tutto fa riferimento, nelle sue ansie e nelle sue invettive, il cardine attorno a cui ruota il febbricitante carosello musicale dell'artista, colta sia nei panni di fervida virtuosa del flow (i beat arcigni e i tremolii sinfonici in scia trip-hop dell'eccellente “Venom”) quanto in momenti di maggiore distensione emotiva, giocati su candide sinuosità soul (la sensualità senza remore di “Selfish”, in collaborazione con la stella nascente Cleo Sol; le morbide fattezze ambient-funk della conclusiva “Flowers”, in cui fa capolino il caldo timbro vocale di Michael Kiwanuka).
Aperture corali (“Pressure”), eleganti cornici chitarristiche (il passo jazzato di “Wounds”), fantasie elettroniche con lo sguardo puntato verso l'Oriente (il minimalismo sintetico di “101 FM”) testimoniano l'irresistibile maturazione di una rapper che ha finalmente trovato la propria quadra espressiva, più che abile nel tenersi a debita distanza da un vacuo enciclopedismo. Equilibrato e ben coordinato in ogni suo aspetto, “Grey Area” è l'effettivo punto d'avvio per una musicista che adesso può spiccare il volo senza timore alcuno.
28/05/2019