Magari senza farlo di proposito, parliamo troppo alla leggera del potere salvifico della musica, di quanto riesca a fare miracoli e togliere esistenze dal baratro. Poi c'è il caso di Scott McCaughey. Uno dei nomi più cult dell'underground americano, una vita passata tra (giusto per fare i nomi più significativi): Young Fresh Fellows, Wilco, i recenti The Baseball Project e Filthy Friends, un passato da quinto/quarto Rem e ovviamente i suoi Minus 5. Un brutto giorno di fine 2017, McCaughey si trova a fare i conti con un ictus. I primi referti sono tragici: lato destro del corpo a rischio paralisi, probabile incapacità di tornare a parlare correttamente, una lunghissima riabilitazione che terrà Scott per sempre lontano dei palchi. Come avrà reagito il Nostro al dramma? Col nuovo disco dei Minus 5, “Stroke Manor”!
Da subito circondato dalla vicinanza dei fan, degli addetti ai lavori e degli amici-musicisti di sempre, l'animo benevolo e indomabile si è subito rimesso in carreggiata e, supportato dalle visite di Peter Buck, Jeff Tweedy (a cui si sono aggiunti in seguito Corin Tucker, John Moen e Jenny Conlee-Drizos, Joe Adragna e Linda Pitmon), ha fatto sì che la riabilitazione fosse una lunga session anomala per il tredicesimo capitolo discografico dei Minus 5. Dopo il capitale “Scott The Hoople In The Dungeon Of Horror” – 57 canzoni per un box di cinque vinili a tiratura più che limitata uscito per Yep Roc in occasione del Record Store Day – e l'annessa versione light “Dungeon Golds”, negli ultimi anni i Minus 5 si erano concessi un disco di brani natalizi e uno di cover dei Monkees: “Of Monkees And Men” (2016) e “Dear December” (2017), due opere spigliate e divertenti ma non proprio imprescindibili, accompagnando l'attività d'incisione con miriadi di progetti paralleli, collaborazioni e tour.
Dai corridoi d'ospedale al fidato Dungeon Of Horror - scantinato/studio di registrazione dove la combriccola si ritrova – e subito on the road con i Filthy Friends per promuovere “Emerald Valley” e poi con la sua band per “Stroke Manor”. Come se niente fosse. Ma una traccia nella musica quell'ictus l'ha lasciata. Frammenti audio in alcune tracce (l'inizio di “My Master Bull” è l'eco d'una visita), nel titolo dell'opera, nella copertina – che ricorda il modo di sdrammatizzare di Bill Berry riguardo il suo aneurisma durante il Monster Tour dei Rem - e soprattutto nei testi allucinati e nonsense, risultato della trasposizione cantata di un quaderno usato da McCaughey per segnare lo stream of consciousness dopo l'ictus, per tornare a scrivere e fare i conti con la propria memoria e i propri pensieri.
“Stroke Manor” inizia con il rauco conto del sopravvissuto che dà il via alla sognante e soffusa “Plascent Folk” (inutile cercare il significato della parola “plascent”, è una delle tante create da McCaughey in rehab). Apertura sognante a cui seguono le “cattive”, riverberate e rockeggianti “My Collection” - pezzo che ricorda la “My Generation” di “Dungeon” - e “Beacon From RKO”. Un terzetto di brani in cui balza subito all'orecchio la scelta del Nostro di alterare la voce con l'auto-tune per riprendere confidenza con il microfono.
Ciò che fortunatamente non ha perso McCaughey è quel tocco magico capace di creare brani power-pop da ko. Anche se “sporcata” da distorsioni e vocalmente deviata, “Bleach Boys & Beach Girls”, tra ritornelli con annessi controcori e assolo, è scintillante e irresistibile. Nonostante il cantante abbia dichiarato di non avere la minima idea di cosa stesse cantando... Non manca anche un'altra parte importante del campionario compositivo dei Minus 5: quello pysch-folk, anticipato dall'opening e che in “Beatles Forever (Red Light)” si manifesta ancora.
Una vitalità inaudita che accompagnerà ogni traccia, dalle risonanza magnetiche (“MRI”) ai momenti più ossessivi e trascinanti, impreziositi dalla chitarra di Peter Buck (“Scar Crow”), le sferragliate garage-noise (“Goodbye Braverman”), passando per le sentite “Message Of Mother” e il bel finale di “Top Venom”, con Jeff Tweedy a dominare le chitarre e l'unico testo chiaro e diretto: "I want to get out of bed, I want to go home".
Considerando gli aspetti biografici che lo hanno preceduto e segnato, “Stroke Manor” è senza dubbio il disco più importante della carriera - e della vita - di Scott McCaughey: ma dopo averlo ascoltato un paio di volte, viene da chiedersi se non sia anche il più bello...
24/06/2019