L'indubbio merito di musiciste come Margaret Chardiet è quello di aver fatto conoscere sonorità noise, harsh, death industrial a un pubblico più ampio che forse non aveva mai ascoltato prima progetti come Brighter Death Now, i primi Ramleh, Atrax Morgue, Genocide Organ, Mz.412 e via discorrendo.
Pharmakon, il progetto della Chardiet, continua nel segno di una lunga tradizione con lavori di buon livello che si focalizzano sui temi del corpo, della carnalità e della trascendenza. Il rumore si fa carne dolente e, al contempo, apre verso un aldilà, un altrove oscuro posto negli angoli più bui della mente.
Se il precedente album, "Contact", era una sorta di viaggio ispirato ai quattro stadi della trance (preparazione, inizio, apice e risoluzione), il nuovo lavoro, intitolato "Devour", è invece una riflessione in musica sull'autodistruzione attraverso una sorta di cannibalismo della propria carne, come suggeriscono anche il titolo e alcune dichiarazioni della stessa Chardiet. Che sia la malattia e la degenza dopo una lunga operazione (il tema portante di "Bestial Burden") o i disturbi alimentari chiamati in causa sin dalla copertina nel suo disco d'esordio "Abandon", il mondo della Chardiet è sempre un luogo estremo e liminare, dove la fisicità è ben presente e portata verso i suoi limiti, oppure a tratti negata psicoticamente ma sempre con performance brutali, votate all'automartirio del corpo femminile.
Il disco esce per Sacred Bones come gli altri lavori dell'artista e consta di cinque tracce, registrate dal vivo in un'unica session con l'aiuto di Ben Greenberg, già membro della dirompente band industrial-hardcore Uniform.
Tra clangori drone industrial e derive harsh, siamo di fronte a un'altra valida prova per la musicista americana. Un lavoro che forse non raggiunge i livelli e lo spessore di una Puce Mary, ma il cui successo conferma come Margaret Chardiet sia una delle artiste più conosciute e seguite dal pubblico, non solo dagli amanti di certe sonorità di nicchia.
22/09/2019