Criptici, pretenziosi, cervellotici, eccessivi: in tanti modi sono stati definiti – e talvolta saranno anche stati davvero – gli Uochi Toki, amati/odiati a fasi alterne da un pubblico a sua volta amato/odiato più o meno esplicitamente. Una sola la cosa che il duo sperimentale è sempre stato: se stesso.
Chi ha atteso pazientemente la fine della loro fase fumetti-videogiochi-realtà virtuale sarà accontentato, così come la critica che si è astenuta dal commentare gli ultimi capitoli discografici in attesa che tornassero “significanti”. Ma qui l’obiettivo non è quello di tornare a fare rap (né lo è mai stato), quanto piuttosto di additare ed esternare a chiare lettere tutto ciò che ancora non va nel mondo/paese reale, ambiente che gli Uochi hanno idealmente disertato per diversi anni.
Ma se fin dagli inizi la tecnica era quella del sorvolo, di una lettura e dissertazione da una prospettiva quasi aliena e super-partes, con “Malæducaty” i testi di Napo vanno dritti ai molteplici bersagli rimasti illesi durante il periodo “fantastico” – giunto a un momentaneo compimento col libro-disco “La magia raccontata da una macchina”.
Per l'ascoltatore, dunque, il prezzo di questa retromarcia è di doversi rimettere in guardia dagli assalti verbali e (pan)sonici degli Uochi più affilati che si possano ricordare – “Noi non saremo mai amici”, tuonava in “Macchina da guerra” – e tutti i sassolini da dentro la scarpa volano dritti in faccia. E ce n'è per tutti: chi dice di non aver tempo per cucinare (“sì sì” ad infinitum); i vegani e quelli ossessionati dalle devianze linguistiche del politically correct; i fumatori; gli intervistatori con domande oziose e capziose; la riproducibilità del linguaggio internettiano e la retromania galoppante dell'industria dell'intrattenimento ma non solo (“reboot di remake delle serie, reboot di remake di camicie nere in posizioni di potere"); le band che sfondano e diventano juke-box da palco, e chi augurava lo stesso destino anche agli Uochi (“Oh ma non la fate ‘Il ladro’? Non la fate ‘L'estetica’?”).
È un impeto liberatorio da ambo i lati: per Rico, che in questi anni ha assecondato esperimenti dall'indole più introspettiva con un tratto atmosferico – se vogliamo, l'altro lato dell'eredità autechriana –; e soprattutto per Napo, di nuovo torrenziale e senza troppe correzioni, libero anche di testare nuove delivery oblique (“Cambia domanda”), creando così nuovi livelli espressivi in parallelo all'instabile tessuto ritmico.
Autoprodotti e autoriferiti come sempre, escludendo la fase di maggior visibilità sotto l’egida de La Tempesta: gli Uochi funzionano al meglio con le briglie sciolte, accettando il rischio di non essere seguiti, apprezzati o capiti. Ma questo era il momento (storico?) giusto per metter fuori la testa dall'universo finzionale e tornare a essere più che mai intelligibili, addirittura sacrificando i garbugli mentali e le congetture para-filosofiche. Sempre un po’ odiosi, pignoli, intransigenti – a tratti persino rosiconi – eppure sempre, sempre loro stessi. Per quelli che nonostante tutto sono rimasti all'ascolto, ecco un colpo di coda inaspettato e maledettamente efficace.
07/10/2019