Serve molto tempo per diventare giovani, diceva Pablo Picasso. Lui, del resto, non era che un eterno fanciullo che aveva imparato ben presto ad assecondare la propria indole per trasformarla in un grande affresco di arte e di vita. L'aforisma torna buono per dipingere una figura come quella di Ezra Koenig, il ragazzo prodigio dell'indie-pop americano che sembra proprio non voler scendere a patti con l'età adulta. Non in musica, almeno. Non oggi. Né mai, forse, chissà.
A oltre un decennio dagli esordi dei Vampire Weekend, l'animo spensierato del combo newyorkese non è stato minimamente scalfito. Anzi, "Father Of The Bride" si staglia come il manifesto della libertà espressiva che si traduce in un repertorio ampissimo (diciotto canzoni, di cui appena una sopra i 5', per un'ora di repertorio) e in una molteplicità di sketch che sembrano messi lì apposta per rivelare - ancora una volta, sempre di più - la matrice naif e giocosa che sottintende l'intera parabola dei vampiri newyorkesi.
Con la fuoriuscita di Rostam Batmanglij, che pure collabora qua e là dentro il disco, la sensazione è che Koenig abbia imparato a giocare da solo. Se fino a ieri i Vampire Weekend apparivano come un'entità unica e che si muoveva all'unisono, maneggiando "Father Of The Bride" è forte l'impressione di un leader che è uscito in avanscoperta a livello di songwriting, con vari brani che sembrano bozze mai terminate e arrangiamenti in genere più spogli (ma non per questo meno interessanti), per poi attorniarsi man mano di strumenti e compagni d'avventura, stabili od occasionali. Il che spiega anche la presenza di così tanti ospiti: Danielle Haim in tre brani, Steve Lacy in due, e poi il rapper iLoveMakonnen in uno dei singoli apripista, "This Life", scritto nientemeno che con Mark Ronson. In questo andirivieni di artisti, si nota come le voci siano lo strumento più "esplorato" e studiato dell'album, tra cori quasi-gospel ("Hold You Now"), vocalizzi audaci per esercizi di stile ancora più audaci ("Sunflower"), duetti affiatati ("Married In A Gold Rush", "Stranger") e vocoder estemporanei ("Flower Moon").
Bastava addentrarsi nei singoli che anticipavano "Father Of The Bride" per toccare con mano l'ampiezza di stile che Koenig ha deciso di imprimere a questo quarto album, concedendosi una libertà ancora più grande di quella finora provata nei tre precedenti lavori, che certo non peccavano di monotonia o men che meno potevano essere sospettati di originalità nonostante la formula, a ben vedere, affondi i piedi in uno dei generi più diffusi negli ultimi quindici anni negli States (e non solo).
"Hold You Now" e "Jerusalem, New York, Berlin", i brani che aprono e chiudono l'opera, per quanto dotati di featuring si tuffano in una dimensione cantautorale del tutto inedita per Koenig, ma che potrebbe aprire nuove finestre in un ipotetico futuro, anche con il solo accompagnamento di piano come in "My Mistake" o di suoni sintetici, nel caso di "2021". Pure l'introspezione di una "Big Blue" o il gusto agrodolce di "How Long?" e "Unbearably White" non hanno moltissimi epigoni nei lavori precedenti, ma evidenziano il contrappunto riflessivo di un fare musica che non ha comunque mai partorito angoli bui.
Più confortevoli, per i fan di lunga data, sono i momenti più ludici dell'opera: la spensieratezza di "Harmony Hall" inaugura impensabili paragoni con i Primal Scream, mentre l'uptempo allegro "This Life" potrebbe essere un outtake dei primi lavori. Che la penna sia ancora più che mai affilata lo dimostra anche un pezzo come "Stranger", una gemma tascabile di indie/chamber-pop che non ascoltavamo da troppo tempo (del resto sono passati sei anni dall'ultima prova in studio). L'immancabile afflato esotico è garantito dalla travolgente samba di "Sympathy", con tanto di handclapping a sottolineare la matrice latina, nonché dalle movenze esotiche della aggraziata "We Belong Together".
Volutamente sconclusionato, imperfetto e talvolta fuori fuoco ma a tratti irresistibile, ricco di sostanza ma leggero nei toni, "Father Of The Bride" mostra il lato più spontaneo della band di Ezra Koenig, che alla sua maniera ci invita a recuperare la spensieratezza e l'innocenza che crediamo perdute.
03/05/2019