Forse fin troppo costretta nello stile dalla sua band di appartenenza, gli Hop Along, Frances Quinlan si presenta in veste solista per la prima volta, con un disco rinfrescante nell’immagine e nei suoni: “Likewise”. Dal tono colloquiale e dagli arrangiamenti erratici e d’acquerello, il disco si nutre comunque della scrittura non lineare, idiosincratica di Frances (“Piltdown Man”), e di conseguenza della sua inconfondibile voce, dalle mille sfumature, intonazioni e registri.
Il tentativo di rendere più accattivante il proprio sound e di smarcarsi dall’etichetta del post-revival anni 90 (nonostante la cover, dimenticabile e vezzosa, di “Carry The Zero”) è chiaro (“Rare Thing”, “Now That I’m Back”), ma in fondo non viene disegnato alcunché di particolarmente personale, se non un vago incrocio tra power-pop e urban-pop, con tutti i vari inserti elettronici e beat del caso.
Si tratta indubbiamente di un album che, a tratti, ispira affetto (“Your Reply”, “Lean”), con il suo ricorrente tema di epistola unidirezionale, ma che lascia anche un forte senso di incompiutezza, con i suoi diversi brani appena sotto lo standard di un ascolto interessante (“Went To LA”, la vagamente Stevens-iana “Detroit Lake”).
Forse una necessaria valvola di sfogo per le velleità stilistico-espressive di Quinlan, ma in generale non un disco, purtroppo, davvero degno di nota.
07/02/2020