Hilary Woods

Birthmarks

2020 (Sacred Bones)
gothic, noir, noise, folk

Orfana dei JJ72 dal 2002, Hilary Woods ha affrontato con molta cautela il rientro in scena. Il risveglio dal lungo oblio è stato foriero di interessanti spunti dream-folk dai tratti noir, un'evoluzione che "Birthmarks" aggiorna con tematiche ancor più forti e atmosfere inquiete e tortuose.

Ormai lontane, se non proprio assenti, le pulsioni indie-rock della band JJ72, la musica della bassista e autrice irlandese vira sempre di più verso un denso gothic-folk contaminato da elettronica, musica sperimentale e noise. Il nuovo progetto prende spunto da due principi apparentemente in contrasto - la fragilità e la potenza, elementi racchiusi nel mistero della maternità - ed è la trasmutazione fisica e interiore la primaria fonte di suoni viscerali, fisicamente violenti e poetici.
"Birthmarks" è un racconto non facile, scritto nell'arco di due anni tra suggestioni cinematografiche (Chris Marker), fotografiche (Francesca Woodman) e pittoriche (Francis Bacon). Un diario silenzioso di quel rumore che accompagna la venuta al mondo e l'esistenza, realizzato e prodotto con l'aiuto di Lasse Marhaug, musicista e produttore norvegese da anni in campo con sonorità noise, metal, avant-jazz e improvvisazione.

La gravidanza è il punto di non ritorno della lunga riflessione dell'artista, un'esperienza che demarca ancor di più il passaggio dalla vita sociale e romantica ("Tongues Of Wild Boar") al forzoso isolamento emotivo che anticipa la calma inquieta e silenziosa della nuova realtà ("Through The Dark, Love"), fino al raggiungimento di una consapevolezza che genera uno status contemplativo non esente da una sottile angoscia ("There Is No Moon").
Tutto in "Birthmarks" è greve, possente, quasi claustrofobico: drone music, suoni solitari e cupi, graffiati da noise e atmosfere cinematiche affini alle analisi sonore di Nick Cave, Chelsea Wolfe e Zola Jesus. "Birthmarks" sfiora la natura ostica della cacofonia: beat elettronici, archi, fiati, pianoforti dal suono spettrali, synth analogici, percussioni, arpa affrescano un paesaggio plumbeo, ricco di sfumature.

Non sono vere e proprie canzoni, quelle di Hilary Woods, o almeno lo sono in una forma nuova. Incantesimi tra sogno e incubo ("Orange Tree"), liturgie eretiche ("Lay Bare"), industrial folk ("The Mouth"), chamber pop a tinte jazz maritati da un druido ("Mud And Stones") e caos ("Cleansing Ritual"), esemplari atipici di un album affascinante e disturbante, come un enigma posto da moderna sfinge: una potenziale domanda alla quale Hilary Woods intelligentemente non offre risposta.

08/06/2020

Tracklist

  1. Tongues Of Wild Boar
  2. Orange Tree
  3. Through The Dark, Love
  4. Lay Bare
  5. Mud And Stones
  6. The Mouth
  7. Cleansing Ritual
  8. There Is No Moon




Hilary Woods sul web