Non è stato facile per Hilary Woods rientrare in punta di piedi nel mondo della musica. Un ritorno annunciato con due Ep pubblicati tra il 2014 e il 2016, che hanno interrotto il lungo oblio che ha fatto seguito all’abbandono dei JJ72: band irlandese che ha riscosso un discreto successo di classifica con due album pubblicati tra il 2000 e il 2002, grazie a una piacevole miscela di pop e romanticherie new wave sulla scia di Placebo, Puressence e Suede.
L’esordio su Sacred Bones è alquanto affascinante e convincente, un album crepuscolare e malinconico che incrocia romanticismo e minimalismo con un tocco cinematico ai limiti del noir, graziato da una registrazione lo-fi che mette in risalto sfumature liriche e compositive che avvolgono le canzoni come una ragnatela. Tessiture elettroniche soavi e mai invasive, una voce estatica e un flusso poetico gentile ed essenziale affidato al rigore del pianoforte reggono la tela delle otto tracce, che cedono raramente all’adulazione del ritmo, indugiando su toni estatici e seducenti anche quando il battito diventa incalzante (“Jesus Said”).
Alla maniera di molte moderne eroine del pop più raffinato (Lana Del Rey, Bat For Lashes, Sharon Von Etten), Hilary Woods pesca nell’immaginario di David Lynch (“Black Rainbow”), attingendo suggestioni dream-pop che a molti evocheranno i Cocteau Twins. Le canzoni scorrono con sonorità ondeggianti tra armonia e dissonanza (“Inhaler”), costantemente baciate dall’essenzialità e dall’ispirazione, anche quando i toni diventano più cupi e complessi (“Prodigal Dog”), a volte assediate dall’alternare silenzioso e magico di synth e chitarre (“Kith”).
E’ infine il raffinato equilibrio tra gli elementi messi in gioco che fa di “Colt” una delle sorprese dell’anno in corso. La sobrietà delle emozioni e delle suggestioni elettro-acustiche della musica di Hilary Woods ha una grazia e un fascino non fugace, che trova infine perfetta esegesi nelle trame pianistiche di “Take Him In” e nelle pieghe della delicata ballata dal tocco quasi neoclassico (“Limbs”) che chiude l’album. Un gradito, quanto inatteso ritorno.
28/06/2018