Jaga Jazzist

Pyramid

2020 (Brainfeeder)
nu jazz, post-rock, jazz

Non sono certo la formazione più hype del pianeta, ma in vent’anni e passa di attività hanno saputo raccogliere una tribù di fan piuttosto variegata. Inizialmente salutati dalla critica come alfieri del post-rock in salsa scandinava, i norvegesi Jaga Jazzist hanno uscita dopo uscita sviluppato un percorso personale e intrigante, che ha traghettato la ricerca della big band jazz in territori sempre nuovi. Drum’n’bass, fusion, avant-prog, nu jazz - il tutto senza mai abbandonare del tutto quell’impronta astratta e tortoisiana che ne aveva portato sotto i riflettori i primi lavori.

Cinque anni separano il precedente Lp “Starfire” da “Pyramid” e dai singoli che negli scorsi mesi lo hanno anticipato. Nel mentre, la band non è stata con le mani in mano, e ha portato la sua musica in giro per il mondo, affinando la resa live del dirompente ibrido jazz/rock-elettronico che caratterizzava i brani dell’ultima uscita.
Le aspettative presso i fan per ciò che i Jaga Jazzist si sarebbero inventati a questo giro erano insomma giustificatamente elevate. Da musicisti così camaleontici non si può mai ben sapere cosa aspettarsi, ma fin dai primi segnali riguardo al nuovo disco (copertina, tracklist) si è fatta concreta la speranza di un rilancio del nu jazz fantascientifico che era stato, stilisticamente parlando, il loro approdo più recente ed entusiasmante.

Ora che il disco è uscito — un maxi-Ep di quattro tracce, ciascuna tra gli otto e i quattordici minuti — è possibile confermare: quella di “Pyramid” è un’ulteriore evoluzione, questa volta in senso retrofuturista, del sound sci-fi di “Starfire”.
“Tomita” è la traccia più lunga, e fin dal titolo (che si può immaginare essere una dedica al pioniere giapponese della musica per sintetizzatore) risulta avvolta da un’aura malinconica e contemplativa. Accompagnato da un video che ricalca platealmente l’estetica del sublime alla base del videogioco Journey, punta con fiati e synth alla graduale costruzione di un’atmosfera soffusamente kitsch per poi farla mutare attorno al nono minuto in una cavalcata kraut-space rock tanto energica quanto ariosa. Manieristico, sì; lezioso, anche - ma già da questo primo pezzo appare evidente come i norvegesi non rifuggano queste categorie, e anzi intendano giocare esplicitamente sulle sensazioni a esse associate.

Nei pezzi successivi, più compatti e in fin dei conti anche più a fuoco, permangono i medesimi tratti distintivi: timbri che congiungono il lato acustico e quello sintetico vintage, ritmiche regolari ma in lenta e continua variazione, un mood al tempo stesso radioso e struggente. Rispetto alla prima traccia, si accentua il dinamismo: “Spiral Era” e la vorticosa “Apex” partono in corsa per quanto riguarda la costruzione ritmica, mentre la policroma “The Shrine” contrasta sezioni rigogliose ma distese a stacchi di fiati ipersintetici dall’inatteso slancio latino.
In tutto disco, l’attenzione della band è concentrata sulla creazione di un paesaggio emotivo roseo, luminoso, paradisiaco e artificiosamente tale. I timbri cristallini della chitarra e dell’occasionale vibrafono, i costanti giochi di riverbero, cori e pad sintetici con le loro subliminali transizioni armoniche: tutti questi elementi confluiscono in un’uncanny valley di eccessiva perfezione, forse allegoria dell’intrinseca irrealtà dei tanti sfavillanti futuri mai avveratisi preconizzati nelle scorse decadi. Sogni fantascientifici che il tempo ha sciolto come neve al sole, lasciando a chi li insegue soltanto il loro slancio immaginifico e una languida, impalpabile nostalgia.

12/08/2020

Tracklist

  1. Tomita
  2. Spiral Era
  3. The Shrine
  4. Apex