Matt Elliott è anche autore di una filosofia, di un modo di pensare e di approcciarsi alla vita. Dopo le osterie, i vuoti esistenziali da riempire con la musica, con un canto ormai ridotto a mero sospiro, oggi sembrerebbe trovarsi di fronte a un addio definitivo, l’addio a tutto il passato, alle nostre sconfitte e alle nostre vittorie. Nasce quindi la poesia della title track, segno ancora una volta di un’alterità rispetto all’esistente, di una testimonianza di diversità, di un allontanamento dalla politica e dai social network (“addio ai bugiardi e a coloro che distorceranno la verità”), un addio a tutti i ricordi e gli eventi passati che condizionano come macigni il nostro presente (“addio a tutto ciò che sappiamo, tutto ciò che abbiamo lasciato andare, tutto ciò che non troveremo mai, tutto ciò che abbiamo amato”), sino alla constatazione che la vita è un evento troppo grande per le nostre capacità (“non siamo mai stati attrezzati per sopravvivere”).
L'addio apre nuovi occhi alla visione del mondo ("The Day After That") e si comprende che la soluzione al mal di vivere è sempre l’arte, la musica, unica forma di resistenza (“dì addio e addio mentre balliamo, inciampiamo, resistiamo”). Il piano di Katia Labèquel e il violoncello di Gaspar Claus contribuiscono a pennellare il mondo grigio di Elliott, dalla perla strumentale “Guidance Is Internal” alle sonorità classiche che rimandano alle vecchie canzoni da osteria di “Hating The Player, Hating The Game”, fino ai macabri accordi ripetuti di “Can't Find Undo”.
La cantilena di “Crisis Apparition” con finale austero sembra togliere ogni spazio alla speranza nella filosofia di Elliott, ma proprio in coda arriva il colpo di scena. In “The Worst Is Over”, il peggio è passato, la chitarra si fa più veloce e vitale, il piano segue gli accordi e le nuvole sembrano ormai spazzate via. Ma Elliott aggiunge il dubbio, il “forse”, a lasciare in sospeso questo nuovo, cauto ottimismo (“il peggio è passato, il peggio è passato, forse”).
(10/05/2020)