Nella mitologia persiana, Shabrang è il nero destriero del principe Siyâvash, una figura ammantata di saggezza e giovanile virtù che rappresenta allegoricamente il coraggio e il sacrificio del proprio popolo - in un passo della leggenda, Siyâvash attraversa una pira in fiamme in sella a Shabrang come prova della propria innocenza di fronte alle maldicenze di corte. Un paragone che può sembrare altisonante e finanche ingombrante, ma se c'è un'artista al giorno d'oggi in grado di mettersi a confronto con tale figura senza apparire immediatamente egocentrica, questa è sicuramente
Sevdaliza. Termini come intensa e cerebrale si sprecano quando si parla di lei, non solo musicalmente ma anche per via del suo carattere - da sempre una donna che si presenta al proprio pubblico fiera e indipendente, capace di celebrarsi a testa alta senza con questo nascondere mai le proprie ferite. La pira in fiamme di Siyâvash è dunque lo spaccato di vita di Sevdaliza - e come prevedibile, misurarsi col suo personale "Shabrang" non è certo impresa facile.
Le quindici tracce del lavoro insistono per lo più su una forma di lenta e vischiosa cantilena noir, intrisa di elettronica e di beat sparpagliati in giro. Sevdaliza, dal canto suo, snocciola ritratti di personaggi e di situazioni personali che la fanno soffrire e la tengono sveglia nel cuore della notte. Dolenti e tremolanti ballate elettro-acustiche quali "Joanna" e la stessa "Shabrang" rappresentano un'inedita visione di melodismo folk persiano processato attraverso le produzioni trap degli anni 20. E di trap si tingono pure "Oh My God" e "Eden" - quest'ultima condita addirittura da un giro di arpa sintetica reminescente di certe produzioni r&b dei primi anni 00: Sevdaliza vi galleggia sopra seria come una vestale sull'altare del proprio sacrificio, e l'effetto è a dir poco straniante.
Ci sono poi momenti dove il disco vira verso una serie di oblique armonie dai sapori grunge, come se
Kurt Cobain e la
Skin delle commistioni elettroniche di "Stoosh" avessero messo al mondo una figlia - vedasi "Lamp Lady" e "NLE3U2000012 - Rhode". Su "Wallflower", invece, pare di vedere lo spettro di
Tricky che striscia nella penombra.
Un'altra serie di oscure ballate arricchiscono con parsimonia l'economia del disco; "All Rivers At Once", condita da un picchiettante giro di pianoforte, sibili elettronici e una sezione ritmica che gattona su uno strascico di jazz, "Gole Bi Goldoon", cantata in farsi con un accompagnamento d'archi e pianoforte, e "Habibi", scarna e totalmente beatless, screziata dal solo piano e filtri vocali.
A spezzare davvero l'ascolto provvede semmai "The Darkest Hour", tenuta in piedi da un'idea ritmica di darkwave e una pioggia di tastiere che colano come lacrime sulla pista di una discoteca
goth, ma fa specie anche il
beat che parte a sorpresa in sostegno a "No Way", quasi una via di mezzo tra
Phil Collins e i
Lamb di "Gorecki".
Dal precedente Ep "The Calling" fa presenza la devastante bellezza di "Human Nature", scorcio desertico su un'anima in pena che vaga tra gli striduli ricordi processati al vocoder di un paradiso perduto (eseguito dal vivo durante il tour di "ISON" il pezzo ha scosso anche il tetto della sala, a riprova di una presenza che, quando vuole, sa essere possente come una colonna di marmo).
Nonostante una serie di momenti sicuramente affascinanti, non si riesce a scrollarsi di dosso il fatto che "Shabrang" suoni più come una raccolta di pezzi sparsi che non un album di senso compiuto - sensazione che si acuisce soprattutto per chi magari è giunto all'arte di Sevdaliza tramite il monolitico ma ben più studiato e articolato "ISON". Un velo di autoreferenzialità e di estenuante monocromia pericolosamente prossima alla moda trap impedisce al nuovo lavoro di confermarla come l'autrice che potrebbe essere e che in passato abbiamo ammirato senza remore.
Rimane comunque a Sevdaliza il pregio di occupare un posto del tutto personale nel panorama discografico, non solo dal punto di vista manageriale (è artista totalmente indipendente, che manda avanti tutto da sola assieme a un paio di amici fidati), ma anche stilistico. Da una donna come lei scaturirà sempre un'arte drammatica, intensa e plastica come da foto di copertina, una continua lotta tra sacro e profano combattuta sopra le teste della propria platea senza reti di sicurezza a riprenderla in caso di caduta. Si può benissimo rimanerne storditi, sorpattutto se non si è dell'umore giusto, ma è altresì vero che, nei momenti di bisogno e di quieto raccoglimento emotivo, la voce di Sevdaliza è più luminosa di un faro nel buio.
07/10/2020