Sylvain Chauveau è un instancabile esploratore di rarefatti universi sonori, in bilico tra raffinato classicismo e sperimentali traiettorie che includono e decostruiscono la forma canzone. Con "Life Without Machines" il compositore francese prosegue lungo la rotta di una cristallina essenzialità espressiva, indirizzando il suo percorso artistico sempre più verso la conquista di uno spazio risonante prossimo al silenzio.
Scarni bozzetti pianistici affidati all’esecuzione di Melaine Dalibert, pensati come commenti sonori dei dipinti della serie "The Station Of The Cross" di Barnett Newman, costruiscono un evocativo flusso che nel lento sviluppo riecheggia il prepotente portato emozionale che permea l’itinerario spirituale a cui le minimali pennellate dell’artista americano si ispirano. Quattordici stazioni melodiche che ne contengono in anonima coda una non visibile, mutuando la caratteristica del giardino delle pietre del tempio buddista Ryōan-ji a Kyoto che costantemente cela allo sguardo la sua quindicesima pietra.
Incentrate su un attento lavoro di sottrazione, le brevi composizioni cesellate dal musicista francese si avvalgono del sapiente contributo della pausa, quale cassa di risonanza di ogni singola stilla, e dell’assenza di artificio, quale riconquista dello spazio umano privato dell’ausilio delle macchine. Istanza quest’ultima a cui il titolo del lavoro, vera e propria critica e accusa al vivere contemporaneo, fa riferimento. Poche note scelte scandite con enfasi, incastrate in strutture dall’andamento circolare, che rimandano alla ricerca compositiva dei maestri americani del Novecento, primo fra tutti quel Morton Feldman così prossimo alle suggestioni delle avanguardie pittoriche a lui contemporanee. Strutture armoniche che nella visione di Chauveau non tendono mai a dilatarsi, rimanendo costantemente embrionale nucleo, capace di suggerire un immaginario illimitato nel quale proiettarsi affidandosi al proprio sentire.
Una silente immersione in un oceano di puro, cristallino suono.
(20/04/2020)